Tutti macroniani in Italia, adesso. Con l'ex premier che si sente il padre putativo del neoliberalismo sociale, tardo esempio di laburismo blairiano, sbandierando a dopo propaganda interna dati elettorali vecchi di due anni e ormai consegnati all'alba dei sogni.
Ma siamo ben sicuri che Emmanuel Macron sia veramente il nuovo, una svolta per la Francia e anche per noi e per l'Europa ? Basta una analisi anche non troppo approfondita della personalità e delle proposte programmatiche per capire che Macron - se diventerà presidente ed è tutto da dimostrare e dopo diremo il perché- è tutt'altro che un'alternativa alle politiche francesi ed europee seguite fino ad ora. Lui è stato banchie, è un'uomo uscito dalla scuola dei governanti Ena, propugna ricette liberal-democratiche che, in nome della fine dei concetti di destra e sinistra, finisce per mettere in campo scelte tecnocratiche, garantistiche per le oligarchie e le caste, per i centri di potere, non certo pericolose per la grande finanza, la grande industria, le corporazioni. Lui promette di aprire, svellere questi centri conservatori particolarmente forti nella Francia nazionalista e statalista, vuole rivoluzionare in senso privatistico e competitivo - molto all'americana - la scuola, intervenire ancora sul mondo del lavoro allargando i margini di flessibilità - e di precarietà - della legge El Khomry, il Jobs Act d'oltralpe e restituire libertà di manovra alle industria, riducendo in maniera drastica la tassazione sui grandi patrimoni secondo la vecchia ricetta liberista e Reaganiana rivista in tempi recenti e da "sinistra" con massicce iniezioni di welfare privato per i lavoratori al fine di compensare la ritirata dello Stato dai servizi offerti.
Una rivoluzione per uno Stato centralista come la Francia. Se si realizzasse, perché non bisogna dimenticare che un senza partito come Macron dovrà governare con chi vincerà le legislative dell'11 giugno. E chi prevarrà nel Paese? Il sistema doppio turno finora ha ristretto la partita a socialisti e gollisti. Ma stavolta a contare soprattutto nei dipartimenti del sud, del nord ex industrialie e dell'Alsazia, sarà Marine Le Pen e il suo Front Nationale. E anche Melenchon e il nuovo fronte delle sinistre ecologiste. È probabile che in molte zone la partita non sarà a due, ma a tre e forse a quattro (va al ballottaggio oltre ai primi due anche chi raggiunge il 12,5 per cento). In questo caso ogni previsione salta e non è escluso che un Macron presidente di debba appoggiare ai parlamentari socialisti e gollisti-repubblicani espressioni dei baroni locali ma non in numero sufficiente a garantire una maggioranza se non dando vita a una Grande Coalizione. In che porterà un Macron presidente a dover mediare ancora di più fra idee di sinistra e di destra che per lui non esistono più, ma di fatto basi delle politiche dei due partiti. A questo punto anche i propositi "rivoluzionari " tramonteranno presto senza riuscire ad alleviare la crisi degli strati più impoveriti. E il fenomeno post partiti e post ideologico Macron si sgonfierà nel fallimento.
Ma siamo ben sicuri che Emmanuel Macron sia veramente il nuovo, una svolta per la Francia e anche per noi e per l'Europa ? Basta una analisi anche non troppo approfondita della personalità e delle proposte programmatiche per capire che Macron - se diventerà presidente ed è tutto da dimostrare e dopo diremo il perché- è tutt'altro che un'alternativa alle politiche francesi ed europee seguite fino ad ora. Lui è stato banchie, è un'uomo uscito dalla scuola dei governanti Ena, propugna ricette liberal-democratiche che, in nome della fine dei concetti di destra e sinistra, finisce per mettere in campo scelte tecnocratiche, garantistiche per le oligarchie e le caste, per i centri di potere, non certo pericolose per la grande finanza, la grande industria, le corporazioni. Lui promette di aprire, svellere questi centri conservatori particolarmente forti nella Francia nazionalista e statalista, vuole rivoluzionare in senso privatistico e competitivo - molto all'americana - la scuola, intervenire ancora sul mondo del lavoro allargando i margini di flessibilità - e di precarietà - della legge El Khomry, il Jobs Act d'oltralpe e restituire libertà di manovra alle industria, riducendo in maniera drastica la tassazione sui grandi patrimoni secondo la vecchia ricetta liberista e Reaganiana rivista in tempi recenti e da "sinistra" con massicce iniezioni di welfare privato per i lavoratori al fine di compensare la ritirata dello Stato dai servizi offerti.
Una rivoluzione per uno Stato centralista come la Francia. Se si realizzasse, perché non bisogna dimenticare che un senza partito come Macron dovrà governare con chi vincerà le legislative dell'11 giugno. E chi prevarrà nel Paese? Il sistema doppio turno finora ha ristretto la partita a socialisti e gollisti. Ma stavolta a contare soprattutto nei dipartimenti del sud, del nord ex industrialie e dell'Alsazia, sarà Marine Le Pen e il suo Front Nationale. E anche Melenchon e il nuovo fronte delle sinistre ecologiste. È probabile che in molte zone la partita non sarà a due, ma a tre e forse a quattro (va al ballottaggio oltre ai primi due anche chi raggiunge il 12,5 per cento). In questo caso ogni previsione salta e non è escluso che un Macron presidente di debba appoggiare ai parlamentari socialisti e gollisti-repubblicani espressioni dei baroni locali ma non in numero sufficiente a garantire una maggioranza se non dando vita a una Grande Coalizione. In che porterà un Macron presidente a dover mediare ancora di più fra idee di sinistra e di destra che per lui non esistono più, ma di fatto basi delle politiche dei due partiti. A questo punto anche i propositi "rivoluzionari " tramonteranno presto senza riuscire ad alleviare la crisi degli strati più impoveriti. E il fenomeno post partiti e post ideologico Macron si sgonfierà nel fallimento.
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