Ragionamenti a urne appena chiuse e a spoglio in corso. Emmanuel Macron con una freddezza che supera la glacialità parla già da presidente, Marine le Pen nell'ansia di pescare voti al di là del suo elettorato si appella al paese, a chi è stufo, a chi vuole cambiare comunque e lo dice con passione e consumata oratoria.
Macron nell'atteggiamento da manager europeo tradisce la sua convinzione che alla fine le élite sapranno governare i voti e spingerli verso di lui, élite di destra o di sinistra poco importa per la stessa ammissione del candidato, la le Pen con bravura oratoria scopre la missione populista cercando di toccare i tasti del nuovo e del nazionalismo contro la vecchia politica colpevole di tutto e proponendo un'alternativa convinta.
In realtà lui, sotto la forma della giovane età, svela nella confusione lessicale il suo essere espressione di un'antica tecnocrazia premiante sull'articolazione delle idee e a favore della conservazione dei poteri. Lei, dal canto suo, ha rivestito con la formula del nuovismo alternativo la tradizionale ideologia fascista di prevaricazione razzista, sessista e di classe che alla fine finisce per assicurare la conservazione dei poteri ne più ne meno di quanto fa il suo avversario.
La conseguenza è che la disperazione della crisi francese porterà all'ennesima delusione sulla capacità dei due candidati presidente di incidere con forza sulla realtà per cambiarla rompendo gli schemi di potere capitalista europei alla base delle scelte liberiste all'origine della crisi stessa e della sua gestione negli ultimi anni. Ad aggravare il tutto ci penseranno le elezioni legislative di giugno che saranno articolate attorno alle alleanze baronali locali, chiosa definitiva di un potere intangibile che consegnerà il presidente designato nelle mani dei poteri e dei sistemi che sia Macron che la Le Pen, seppur in modo diverso, sostenevano di voler battere e superare.
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