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WEF Davos 2019 - Giorno 1


Al via Il World Economic Forum di Davos, senza gli Stati Uniti e con l'ombra sovranista che incombe in particolare sul Vecchio Continente mentre nel contempo sembra attenuarsi la concezione globalista che è il topic dello stesso Wef.
In apertura le previsioni del Fmi (presidente Christine Lagarde)
che correggono i dati di ottobre e confermano la frenata anche se si evita di parlare - anzi viene smentita - una fase recessiva. I problemi maggiori sono per le economie avanzate, soprattutto per l'Europa e per l'Asia quest'ultima alle prese con il raffreddamento cinese. Mentre l'Europa deve fare i conti con la Brexit e il possibile no-deal, i rischi finanziari e del debito sovrano Italia, il rallentamento produttivo della Germania e le incertezze turche legate anche all'indebolimento della moneta nazionale senza dimenticare la rivolta dei gilet gialli in Francia. Sullo sfondo i problemi per Trump - comprese le ricadute dello shutdown - e la guerra dei dazi.
Secondo il Fmi... 

... "l'espansione globale si è indebolita. La crescita globale per il 2018 è stimata al 3,7 percento, come previsto dalle previsioni dell'Ocean Economic Outlook (WEO) dell'ottobre 2018, nonostante i risultati più deboli in alcune economie, in particolare Europa e Asia. L'economia globale dovrebbe crescere del 3,5% nel 2019 e del 3,6% nel 2020, 0,2 e 0,1 punti percentuali al di sotto delle proiezioni dello scorso ottobre".

A peggiorare le attese e le previsioni di crescita globale per il 2019 e il 2020  sono gli effetti negativi degli aumenti tariffari decisi negli Stati Uniti e in Cina, ma anche i nuovi standard sulle emissioni di carburanti in Germania e nel complesso una maggiore prudenza del sentimenti dei mercati finanziari. Infatti annota il paper presentato a Davos... 

... "una serie di fattori scatenanti oltre l'intensificarsi delle tensioni commerciali potrebbe innescare un ulteriore peggioramento del sentimento di rischio con implicazioni sfavorevoli per la crescita, soprattutto in considerazione degli elevati livelli di debito pubblico e privato. Questi potenziali fattori scatenanti includono un ritiro "senza contratto" del Regno Unito dall'Unione europea e un rallentamento più che previsto in Cina".



La produzione industriale segna frenate ovunque, a parte gli Usa e fa paura il fattore crescita del commercio mondiale, crescita  rallentata ben al di sotto delle medie del 2017. Prudenti le banche centrali- dalla Fed alla Bce che ha chiuso il suo QE a dicembre pur senza voler ritoccare i tassi almeno fino a dopo l'estate -  e ciò induce a una maggiore avversione verso la propensione al rischio che ha avuto come conseguenza  "un calo dei rendimenti dei titoli sovrani, in particolare per i titoli del Tesoro USA, i bund tedeschi e i gilt britannici."
La volatilità contraddistingue i prezzi di petrolio - soprattutto - e materie prime:

"All'inizio di gennaio, i prezzi del petrolio greggio si attestavano intorno ai $ 55 al barile e i prezzi attesi per i mercati si mantenevano su livelli ampi nei prossimi 4-5 anni. I prezzi dei metalli e delle materie prime agricole si sono lievemente attenuati da agosto, in parte a causa della sottomessa domanda proveniente dalla Cina". 

Con queste premesse le prospettive non sono certo rosee e il Fmi non lo nasconde.

"La debolezza nella seconda metà del 2018 si ripercuoterà sui prossimi trimestri, con una crescita globale che dovrebbe scendere al 3,5% nel 2019 prima di salire leggermente al 3,6% nel 2020 (rispettivamente 0,2 punti percentuali e 0,1 punti percentuali in meno rispetto al precedente).  Questo modello di crescita riflette un persistente calo del tasso di crescita delle economie avanzate da livelli superiori alla tendenza, che si verificano più rapidamente del previsto, insieme a un temporaneo calo del tasso di crescita per le economie emergenti e in via di sviluppo nel 2019, riflettendo le contrazioni in Argentina e La Turchia, nonché l'impatto delle azioni commerciali sulla Cina e altre economie asiatiche".

La crescita nell'area dell'euro scenderà  dall'1,8% nel 2018 all'1,6% nel 2019 (0,3 in meno rispetto al previsto lo scorso autunno) e all'1,7% nel 2020. Come detto la riduzione tocca soprattutto  la Germania ("a causa - ricorda Fmi - del soft private consumo, debole produzione industriale in seguito all'introduzione di standard di emissione auto revisionati e domanda estera contenuta"), l'Italia ("a causa della debole domanda interna e dei maggiori costi di finanziamento in quanto i rendimenti sovrani rimangono elevati")  e la Francia ("a causa dell'impatto negativo delle proteste di piazza e delle azioni industriali").
Poi il fattore Brexit: incertezza  sulla crescita dell'1,5% nel biennio 2019-20, ma con un'eventuale uscita disordinata l'outlook peggiorerà. Stabili gli Usa per i quali il tasso di crescita scenderà al 2,5 nel 2019 e  all'1,8 nel 2020 per effetto dell'esaurimento delle misure di stimolo fiscale varate da Trump e per il fatto che il tasso dei  fondi federali sovrasta temporaneamente il tasso d'interesse neutrale. Per Fmi tuttavia  il ritmo di espansione previsto è superiore al tasso di crescita potenziale stimato dell'economia statunitense in entrambi gli anni . Il già forte disavanzo commerciale è destinato ad aumentare anche se la domanda interna aiuterà l'aumento dell'import. 
Ma anche per le rampanti e sovraniste economie dell'Est europeo non saranno tempi fulgidi: la crescita rischia un improvviso crollo passando  dal 3,8% di crescita del 2018 a un misero, quasi italiano, tasso dello 0,7%, anche se poi al 2020 è prevista una rapida risalita verso il 2,4. Le cause: la generale contrazione, che si fa sentiere di più su queste economie ancora poco strutturate, il rallentamento turco e finanziamenti esterni a condizioni più strette. 
Meglio l'America latina, la cui "crescita - sostiene il Fmi - è prevista in recupero nei prossimi due anni, dall'1,1% nel 2018 al 2,0% nel 2019 e al 2,5% nel 2020 (0,2 punti percentuali più deboli per entrambi gli anni rispetto al previsto)". Le difficoltà arriveranno dal Venezuela, parzialmente dal Messico, mentre l'Argentina frenerà nel 2019 e ripartirà l'anno dopo. Il Brasile invece dovrebbe godere di una graduale uscita dalla recessione. 
L'Fmi prevede che la "crescita in Medio Oriente, Nord Africa, Afghanistan e Pakistan rimarrà contenuta al 2,4% nel 2019 prima di riprendere a circa il 3% nel 2020" con fattori come il petrolio debole, guerre e sanzioni all'Iran che si aggiungeranno ai consolidati rischi geopolitici.
Africa sub-sahariana invece ancora in salita, ma un po' più lentamente: dovrebbe salire dal 2,9% nel 2018 al 3,5% nel 2019 e al 3,6% nel 2020. Ma le speranze vengono  dal fatto che "oltre un terzo delle economie subsahariane che si prevede aumenteranno oltre il 5% nel 2019-20"



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