Bisogna intendersi sulle parole e sulla propaganda. Troppa quest'ultima nei due anni di guerra a Gaza. In ogni caso il piano Trump è approssimativo, aperto a mille interpretazioni. E arriva tardi
Essere felici e contenti per la tregua e il cessate il fuoco a Gaza è d’obbligo. Un accordo c’è, le armi da fuoco (forse) taceranno e gli ostaggi, vivi e morti, torneranno a casa. Ma è una “peace”, come strombazza il presidente americano alla ricerca di un Nobel che per lui è alla stregua del Telegatto di berlusconiana memoria, o una “pace” che in inglese si può tradurre anche con uno “step”, ovvero un passaggio verso qualcos’altro? Qui e qui
I dubbi sono ampi e motivati e potrebbero bastare poche ore a dissiparne un po’, in particolare i più ottimistici. Questo perché la base di partenza è quantomeno poco attendibile e talmente vaga che ognuno dentro ci potrà trovare ciò che disidera o piegare ogni parola alle sue convenienze. E sappiamo che Israele e Hamas di convenienze ne hanno troppe e tutte conflittuali.
Perché solo ora? Anche se non fa comodo dirlo, soprattutto adesso, è la domanda fondamentale. Trump poteva muoversi poco dopo il suo insediamento. Il massacro-genocidio era stato in larga parte già compiuto, le mosse di Netanyahu già previste e annunciate, i suoi progetti fin troppo esplicitati. La tregua precedente già saltata per volere di Israele, Hamas è da tempo stata sconfitta e annientata militarmente e strategicamente. Che problemi c’erano per la sicurezza di Israele? Si sarebbero risparmiate migliaia, decine di migliaia di vite, la diplomazia avrebbe usato le stesse parole e gli stessi metodi di oggi.
Forse la stessa immagine internazionale di Israele, ormai infranta, ne avrebbe risentito meno. Eppure Bibi, per la sua salvezza personale ha deciso di andare avanti ascoltando e aiutando i più estremisti, fino a sprofondare il suo Paese a un livello di credibilità e nel contempo di menzogna a cui mai era arrivato. Per di più compromettendo in buona parte e forse definitivamente il tessuto sociale interno, mettendo in discussione l’assetto democratico e gli stessi principi, violando ogni regola etica e morale ma anche giuridica sul rispetto dei diritti civili, degli avversari. L’America, anche quella di Biden aveva i mezzi e le possibilità di fermare questo genocidio. E non l’ha fatto.
L’Europa nemmeno fra le sue incertezze, i suoi interessi (di Germania e Francia in particolare), i ricatti dei Paesi sovranisti (Ungheria e Italia per primi) pronti a bloccare la Ue per poi andare a dire che la stessa Unione non funziona. Aggiungendo, domani, che l’assetto continentale non servirà, se non per elargire i soldi a governi incapaci e retrivi. E neppure i Paesi arabi e islamici, divisi e in guerra fra loro, ii quali dei palestinesi non è mai importato molto se non ora, quando le loro opinioni pubbliche sono insorte e soprattutto hanno visto la possibilità del business ricostruttivo nonché politico. Il che tradotto vuol dire fare affari con l’America e l’Occidente, pur senza allontanarsi troppo dall’Oriente, e arrivare a esercitare una presenza politica e militare fin “dentro” Israele nel caso di contingenti e governatorati a Gaza.
Cosa farà Israele? I ministri e i partiti estremisti probabilmente faranno la sceneggiata di uscire dal governo. Tanto Netanyahu ha lo stesso i voti grazie ai centristi di Ganz. Ma si rassegneranno? Difficile. Quando si andrà al voto con tutta probabilità saranno ridimensionati o non entreranno neppure alla Knesset. Quindi muoveranno le loro masse, i coloni, per mettere in difficoltà il primo ministro e soprattutto far saltare l’accordo. Come? Non sarà complicato immaginare le reazioni e le azioni dei coloni, quelli accampati alle porte di Gaza e gli altri, quelli scatenati nella West Bank che Tel Aviv vorrebbe annettere.
A ogni azione, massacro, assalto, provocazione, Hamas avrà buon gioco nel rispondere con le scarse forze che ancora ha e che nel frattempo recluterà. Non va dimenticato che Hamas, se si votasse, prenderebbe anche la Cisgiordania, oggi più che mai in virtù della sua “resistenza” di due anni all’assalto devastante di Israele. Secondo l’ex premier Ehud Olmert in Israele c’è già un piano per far saltare la tregua e “finire il lavoro” come dice Netanyahu. Magari sostenendo, senza dirlo, una qualche forma di guerra civile dentro Gaza attraverso le bande beduine delle Forze Popolari del criminale Abu Shabab, già aiutate da Tel Aviv. QUI
E Hamas? Prostrata, distrutta quasi in toto, senza più leadership militare e con quella politica quasi tutta eliminata, ha i suoi problemi. Non ha più un territorio santuario dove riorganizzarsi - la Striscia sarà governata e presidiata da forze arabe con qualche iniezione occidentale. la ricostruzione se e come avverrà sarà ad appannaggio di americani e C. - e anche i fondi latiteranno perché l’Iran è in difficoltà e sotto scacco tuttora mentre il Qatar, co-partecipe dell’accordo, non sosterrà più come prima questa forza terroristica, con tutta probabilità fra le condizioni poste da Trump. Il Libano di Hezbollah non potrà più essere il retroterra (nonostante la distanza sul terreno) di prima perché la stessa Hezbollah è stata in buona parte disarticolata da Israele e anch’essa dipendeva dai soldi iraniani. Resta la Cisgiordania, prossimo fronte. Lì Hamas cercherà di consolidare leadership e arruolamenti, lì può contare sulla sua immagine di “resistente” e magari di “eroe”.
L’Anp è in frantumi, senza leader credibili (Marwan Barghouti, non a caso, è il leader sul cui rilascio Israele ha posto il veto essendo considerato l’uomo che potrebbe ridare smalto ed unione ai palestinesi), pochi soldi e con le sue esigue forze di polizia accusate di essere in combutta con gli israeliani. Lì Hamas si presenterà prima o poi come l’unica difesa dalle prevaricazioni dei coloni aiutati dall’Idf. Lì Netanyahu potrebbe “finire il lavoro” insieme a Smotrich e Ben Gvir.
E I due Stati? La chimera mediorientale è e resterà a lungo lo Stato palestinese. Sempre evocato, perfino riconosciuto nella sua ectoplasmicità da quasi 150 Paesi al mondo, sarà il sogno e l’illusione dell’Occidente (l’Italia di governo è patetica n ella tiritera ripetuta per due anni al fine di non dire una parola di critica a Netanyahu), l’alibi per i prossimi estremismi islamico-palestinesi (e per converso per i loro corrispettivi israeliani).
Nel piano Trump non se ne parla, la revisione concessa a Netanyahu ha dato la possibilità a quest’ultimo di cancellare qualsiasi riferimento anche indiretto. Chi ne parla, sia chiaro, è in malafede perché lo si rimanda a tanto in là nel tempo che si potrebbe benissimo valicare la frontiera del secolo e oltre. Dove e come sorgerebbe nel caso Israele dovesse piegarsi a un diktat americano che non si è mai visto? Gaza è stata rasa, scientemente, al suolo. Servirebbero circa 53 miliardi di dollari e vent’anni per ricostruirla senza pensare che possa diventare la folle riviera immaginata dalla Casa Bianca e dai Maga. La Cisgiordania è smangiucchiata giorno dopo giorno dagli insediamenti illegali e da quelle illegali trasformati in legali. Già adesso sarebbe possibile immaginare al suo interno uno Stato sovrano tra strade con il filo spinato, centinaia di check point, zone isolate e in pratica sotto assedio. Qualcuno riesce a immaginare un Netanyahu che caccia i coloni come fece Sharon a Gaza per far spazio allo Stato palestinese che potrebbe collegarsi alla Striscia solo attraverso un megaponte o un megatunnel.?

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