Brexit fu. Forse, anzi è quasi certo. May fu. Forse, anzi è quasi certo. Il voto del Parlamento britannico sull'accordo con la Ue ha segnato una sanguinosa sconfitta per la premier: 432 no contro 202 sì, partito conservatore spaccato, unionisti contro Theresa May ma pronti
a rinnovarle la sfiducia nel timore di elezioni anticipate, conservatori spaccati in due, laburisti principi delle opposizioni ma la stragrande maggioranza del partito e dei suoi elettori - almeno l'80% - è contro lo spirito anti Ue dell'aspirante premier Jeremy Corbyn.
Grande la confusione sotto il cielo di Londra, la premier chiede una fiducia per cercare di rinegoziare il suo accordo con la Ue e ottenere una maggiore flessibilità in vista del 29 marzo, paventando i danni e problemi che anche per l'Unione può significare una Brexit disordinata. Ma come dicono alcuni analisti, la debacle della May paradossalmente potrebbe averla rafforzata: proprio perché, con il no all'intesa con Bruxelles, sale la consapevolezza che l'addio nel caos da qui a due mesi sarebbe una catastrofe per il Regno Unito. Sotto tutti i punti di vista, non ultimo il riaprirsi dello scottante e pericoloso dossier delle due Irlande, chiuso dopo decenni di terrorismo e guerra civile.
a rinnovarle la sfiducia nel timore di elezioni anticipate, conservatori spaccati in due, laburisti principi delle opposizioni ma la stragrande maggioranza del partito e dei suoi elettori - almeno l'80% - è contro lo spirito anti Ue dell'aspirante premier Jeremy Corbyn.
Grande la confusione sotto il cielo di Londra, la premier chiede una fiducia per cercare di rinegoziare il suo accordo con la Ue e ottenere una maggiore flessibilità in vista del 29 marzo, paventando i danni e problemi che anche per l'Unione può significare una Brexit disordinata. Ma come dicono alcuni analisti, la debacle della May paradossalmente potrebbe averla rafforzata: proprio perché, con il no all'intesa con Bruxelles, sale la consapevolezza che l'addio nel caos da qui a due mesi sarebbe una catastrofe per il Regno Unito. Sotto tutti i punti di vista, non ultimo il riaprirsi dello scottante e pericoloso dossier delle due Irlande, chiuso dopo decenni di terrorismo e guerra civile.
Mayexit (Tum Post)
Nessuno a Londra dimentica la stima della Banca centrale che prevede un Pil in caduta dell'8% nel primo anno di Brexit "no deal " e del 10,5% negli anni successivi, il prezzo della case crollerebbe del 30% e la sterlina perderebbe fino al 25% del suo valore. Il sì all'accordo comunque non sarebbe indolore: 4% di Pil in meno nel corso degli anni, fonte il National Institute of Economic and Research, una "tassa" di mille sterline a testa per ciascun britannico.
Con queste prospettive, tutte ben evidenziate dalla May e dai sostenitori del remain, non sono pochi i commentatori che vedono rafforzarsi la possibilità di un secondo referendum, di fronte alla disponibilità della Ue di accettare una proroga alla data del 29 marzo, disponibilità tutta da accertare e comunque molto, molto complicato da ottenere da Bruxelles dove ormai si stanno facendo tutti i conti - quelli reali e quelli elettorali - senza la Gran Bretagna.
Più facile che si vada a un voto anticipato con la May pronta a cavalcare il possibile disastro di un addio improvviso e senza il piano B (con relative conseguenze per gente comune e imprese) e un Corbyn che, stretto nel suo antieuropeismo, non riuscirebbe a capitalizzare la crisi di consensi dei conservatori i quali, stando agli ultimi sondaggi, avrebbero un vantaggio di 6 punti sugli avversari, 40 a 32.
Sullo sfondo rimane in ogni caso il grande interrogativo sul quale i cittadini sembrano non riflettere ancora abbastanza: che con la Brexit (ma anche senza) sarà ben difficile tornare all'antica grandezza britannica anche e soprattutto nei confronti dell'Unione europea.
Con queste prospettive, tutte ben evidenziate dalla May e dai sostenitori del remain, non sono pochi i commentatori che vedono rafforzarsi la possibilità di un secondo referendum, di fronte alla disponibilità della Ue di accettare una proroga alla data del 29 marzo, disponibilità tutta da accertare e comunque molto, molto complicato da ottenere da Bruxelles dove ormai si stanno facendo tutti i conti - quelli reali e quelli elettorali - senza la Gran Bretagna.
Più facile che si vada a un voto anticipato con la May pronta a cavalcare il possibile disastro di un addio improvviso e senza il piano B (con relative conseguenze per gente comune e imprese) e un Corbyn che, stretto nel suo antieuropeismo, non riuscirebbe a capitalizzare la crisi di consensi dei conservatori i quali, stando agli ultimi sondaggi, avrebbero un vantaggio di 6 punti sugli avversari, 40 a 32.
Sullo sfondo rimane in ogni caso il grande interrogativo sul quale i cittadini sembrano non riflettere ancora abbastanza: che con la Brexit (ma anche senza) sarà ben difficile tornare all'antica grandezza britannica anche e soprattutto nei confronti dell'Unione europea.
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