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Mosul, ultima meta?

Guerriglia e terrorismo. Lo stato islamico tra Siria e Iraq ha perso oltre il 60 per cento del territorio che aveva conquistato negli ultimi tre anni, gettando le basi per la costruzione del sognato Califfato. Ma adesso con la caduta di Mosul e quella prossima di Raqqa  - l'annunciata capitale dello stesso Stato islamico - in occidente si respira aria di liberazione.
L'esultanza delle forze irachene e del kurdistan iracheno dopo la presa di Mosul (vedere qui la situazione attuale) però potrebbero rivelarsi un inganno e una tragica sottovalutazione della situazione complessiva e della strategia jihadista a lungo termine.
Secondo uno studio del Combating Terrorism Center di West Point, citato da Guido Olimpio, come al solito ottimo conoscitore e analista, dalla data della liberazione  dai crudeli militanti del Califfato e fino all'aprile scorso di 11 città irachene e 5 siriane, gli sconfitti avrebbero inflitto 1468 attacchi negli stessi centri. Il che vuol dire che, anche se il potenziale offensivo dell'Isis, è stato drasticamente ridotto e colpito nei suoi gangli vitali, la stessa entità è ben lungi dal poter essere stata annientata.
Cosa significa questo? In primo luogo che, se sarà più difficile ingaggiare combattimenti in campo aperto e secondo una normale strategia di guerra fra due eserciti, questo non significa per forza che l'Isis sia stato sconfitto e sia costretto ad abbandonare terre e città conquistate. In secondo luogo - ed è la logica conseguenza della prima affermazione - il ripiegamento degli jihadisti ha due significati: ricostituire e riorganizzare le forze colpite e preservare le stesse da uno scontro frontale con avversari più numerosi e meglio armati che significherebbe la sconfitta automatica. Ma a questa ritirata strategica però bisogna abbinare un altro scenario, questa volta più inquietante e pericoloso non solo sul terreno di scontro attuale ma per l'intero occidente.


L'Isis si è accorto che l'idea del Califfato per ora è difficilmente perseguibile e senza la presa di uno stato già organizzato o senza la sua protezione di fatto (vedere l'Afghanistan al tempo dei talebani nei confronti di Al Qaeda che comunque aveva fini e organizzazione ben diverse) è arduo pensare di resistere. Ciò potrebbe comportare una cambio di strategia dim cui forse vediamo i prodomi in quei 1468 attentati nelle città liberate. Ovvero il passaggio dell'Isis alla guerriglia, ( leggi qui) molto pericolosa ed efficace per la rete su cui gli jihadisti possono contare nei Paesi in questione, e al terrorismo vero e proprio. Ma se la prima è possibile - e si annuncia sanguinosa per le forze di Al Amadi e di Assad ma anche per i loro alleati - la seconda è attuabile ovunque: quindi autobomba nelle città sciite o sunnite liberate e la stessa cosa, unita ad attacchi singoli con varie armi e strumenti, in Occidente. Il che vorrebbe dire che con il rientro di molti foreign fighters e con la mobilitazione delle cellule dormienti e con l'attivazione di una efficace propaganda nei luoghi più islamizzati e ad alta penetrazione radicale, per l'Occidente si prepara una guerra di lunga durata con ricadute anche psicologiche che non abbiamo ancora messo nel conto e per le quali non siamo preparati.


Dentro la battaglia di Mosul

Come l'esercito iracheno ha sconfitto lo stato islamico

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