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L'uomo senza un piano


Alla fine si evidenzia quanto paventato e intuito in qualche particolare e dall'analisi di come Trump ha costruito - o meglio decostruito - importanti branche del Dipartimento di Stato e dell'amministrazione in generale: la presidenza Trump non ha una sua politica estera, non l'ha impostata, non è riuscita a disegnarne almeno i contorni di massima. E quel che è peggio è che, nonostante gli sforzi di alcuni membri del Gop di individuare i tecnici e gli esperti in grado di consigliare Trump sulla strada da seguire in politica estera, il presidente non apprezza, non sa costruire la squadra e soprattutto non si fida delle politiche suggerite dal suo partito. Lui preferisce ancora e di più la politica "innovativa" dei tweet.

L'esempio ultimo e più eclatante è quello della Corea del Nord che, ormai, da mesi sfida l'America e il suo presidente lanciando alcuni missili, l'ultimo dei quali - intercontinentale - in grado di raggiungere le coste dell'Alaska e quindi degli Stati Uniti stessi.
La realtà è sotto gli occhi di tutti e riassunta nella frase di Bernard Guetta in France Inter e ripubblicata su Internazionale:
Oggi gli Stati Uniti non hanno più una politica estera, né lodevole né disprezzabile. Nessuno sa più cosa vuole questo paese da cui dipende in gran parte la stabilità internazionale e che, palesemente indeciso sul da farsi, continua a cambiare rotta.
Trump è arrivato al G20 di Amburgo nelle peggiori condizioni: si troverà sul tavolo un'intesa per la protezione del clima e il rispetto degli accordi di Parigi , quegli stessi accordi messi da lui in disparte. Ma ciò che è peggio è che la Germania si è messa alla guida del nucleo forte del G20 per isolare gli Stati Uniti nelle sue strategie industriali , ma anche sulla politica di difesa comune. Il guaio è che Trump non può neppure contare sulla Russia proprio in nome di quegli appoggi durante la campagna elettorale che potrebbero essere confermati - con tutto quanto ciò significa - da un suo atteggiamento benevolo. Così ora il presidente americano parla di Mosca come un Paese con "comportamentni destabilizzanti".
E'fallita perfino la campagna anti Cina che , anzi, si è riavvicinata a MOsca. E sela confusa politica in Medio Oriente ha avuto come unico sbocco la frattura dei Paesi sauditi con il Qatar dove c'è una delle più grandi basi militari americane. Peccato per Trump che il messaggio contro Teheran sia fin troppo comprensibile e non abbordabile all'interno dell'incertezza sul ruolo e le scelte nella guerra  siriana.
Adesso c'è la Corea del Nord per la quale Trump non può vantare alcuna opzione realistica: non il blitz, incerto e in grado di stimolare la reazione cinese, nemmeno una superbomba come in Afghanistan. L'omicidio politico di Kim Jong Un potrebbe essere una scelta politica affidata alla Cia, ma non garantisce oltre al risultato la tenuta di una società oppressa da decenni. Se Trump contava sulla Cina e le sue capacità di pressione, ha dovuto ricredersi: Pechino non può cedere e neppure la minaccia di sanzioni riuscirebbe ad averla vinta. What's else, mister president?

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