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Il tax game

Via la tassa sulla casa dal 2016, parola di Matteo Renzi. Dirlo si fa presto (Berlusconi docet), il realizzarlo è un'altra cosa. Il governo e il premier in prima persona contano su un alleggerimento delle condizioni poste da Bruxelles di fronte alla riforma costituzionale, a quella del lavoro e a quella della scuola.
Ma come hanno fatto

osservare molti commentatori  all'assemblea del Pd Renzi ha dimenticato una parola chiave, due anzi: spending review. In tre anni le promesse di Renzi valgono qualcosa come 45 miliardi, ma secondo altri calcoli in realtà salirebbero attorno ai 70 miliardi. E il fiscal compact? Renzi conta di farlo dimenticare alla Germania &C. grazie ai recuperi di Pil e all'uscita dalla recessione. Ma resta il peso del debito, ben sopra al 130%, quasi in concorrenza con quello greco. Possono bastare le riforme istituzionali e non la spending ipotizzata da Cottarelli (a proposito quest'anno si deve aver rispettare il taglio di 18
miliardi  - 10 già definiti per togliere di mezzo le clausole di salvaguardia e altri 6 consentiti dalla Ue grazie al minor rigore sull'obbiettivo del deficit strutturale  - cui vanno aggiunti i 34 nel 2016)?
La politica dell'annuncio non è di oggi, ma rispetto al non mantenere la promessa, vi è un'altra via di fuga, anche questa già molto sperimentata: si taglia da una parte, ma si recupera da un'altra, magari senza strombazzamenti e sottotraccia con la speranza che il cittadino non se ne accorga. Date un'occhiata a questo articolo illuminante ! Gli indizi che potrebbe finire così anche stavolta, magari dopo un no dell'Europa alla flessibilità chiesta, cui si uniscono i rialzi dei tassi prossimi venturi e la fine del Qe della Bce. Non è un caso che ieri il ministro Del Rio abbia parlato di una local tax (cosa sarebbe, cosa raccoglierebbe?) dopo che gli italiani avevano già cominciato a sognare la fine della tassa sulla casa.

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