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Il fattore A, come Arpaio

Sceriffo perdonato e un avviso a tutti quelli che "remano contro" la Casa Bianca. Questa una delle chiavi di lettura della grazia concessa  da Trump allo sceriffo Joe Arpaio, condannato per aver ignorato l'ordine di un giudice che gli imponeva di smettere di arrestare sulla base di sospetti di immigrazione clandestina.

Arpaio era stato fin da subito un sostenitore di Trump che ora l'ha ricambiato trasformandolo in uno dei suoi simboli e del suo stile di "governo". Uno schiaffo in faccia a quanti, media in primo luogo e ai democratici ma anche a molti esponenti del suo partito, anche se potrebbe essere un nuovo caso in grado di mettere in difficoltà il presidente. Trump infatti non ha sentito il Dipartimento di Giustizia sul caso e va contro una prassi secondo cui i presidenti possono intervenire sull'applicazione e sui criteri della legge, ma non sui casi specifici proprio per evitare i sospetti o l'accusa di un interesse personale.
Ma su questo caso Trump ha voluto proprio perdonare lo sceriffo, 85 anni, suo sostenitore da tempo e farne un simbolo a dispetto delle accuse che gli sono sempre state rivolte oltre a quella di comportamenti razzisti: come ad esempio i comportamenti che avrebbero portato Arpaio a finire nel mirino per abuso di potere, mancate indagini su crimini sessuali, favori, chiusura arbitraria di inchieste, violazioni delle leggi elettorali.

Ecco chi è Arpaio

Ma al di là delle ricostruzioni e della biografia, a dare la misura di chi è Arpaio, di ciò che è stato  e del significato di un perdono così acritico e fuori luogo, senza seguire le procedure che pure assicurano la clemenza verso chi dimostra di aver compiuto un percorso di pentimento e riflessione sugli errori riconosciuti dai giudici, appunto a dare una dimensione diretta dello sceriffo è una delle sue vittime, che racconta cosa è stata l'esperienza di vessazioni e disprezzo, oltre che di violazione delle norme, sopportato appunto per colpa do Arpaio.
Il senso devastante della decisione di Trump sta anche in questa testimonianza, ma soprattutto nei messaggi inviati: sia a chi deve testimoniare in procedimenti che coinvolgano il presidente e il suo entourage, sia a chi ritiene di essere giudice di se stesso senza che vi sia l'equilibrio di un terzo a scegliere e decidere, architrave essenziale dei poteri di una democrazia e del sistema che gli americani si sono scelti. Un altro passo che il Washington Post giudica nel senso dell'autoritarismo trumpiano .

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