Ahia, il ministro Minniti e il suo codice di comportamento per le Ong pre-giudicate colpevoli di rapporti stretti con gli scafisti al punto da sembrare complici, cominciano a trovarsi in difficoltà. Eppure non dovrebbero esserlo visto che ai primi di agosto i migranti sbarcati sono il 3,4% in meno dello stesso periodo dello scorso anno e la caduta rispetto a luglio è addirittura del 50%.
Ma qualcosa non funziona nel meccanismo messo in atto in cui la criminalizzazione delle navi Ong è servita a mascherare gli accordo con la Libia e la sua guardia costiera ben al di sotto di ogni sospetto, accordi che non sarebbe strano scoprire prima o poi che sono stati conditi da accordi commerciali, consegna di armi al traballante Al Serraj (già date quattro motovedette, altre sei in arrivo)o veri e propri versamenti di denari, ovviamente in gran segreto, alle tribù che le useranno per acquistare armi e proseguire nelle varie guerricciole fra le parti in causa.
Il meccanismo non funziona perché alcune navi di Ong si sono ribellate al Codice Minniti intuendo la trappola che vi era dietro e il ricatto dell'inchiesta della magistratura che costruisce rapporti con gli scafisti su immagini tutte da decifrare e soprattutto ha promosso la sua inchiesta sulla spinta di frange estreme di una destra sovranista che comincia a far capolino in Italia ben tollerata dai media della destra berlusconiana.
Ma soprattutto il meccanismo non funziona perché improvvisamente la guardia costiera libica, quella di Al Serraj, è diventata di colpo non solo efficiente ma addirittura minaccia le navi delle Ong che stazionano in acque internazionali, al punto che queste ultimi - intuendo la seconda trappola - a questo punto hanno annunciato la sospensione delle operazioni. Il Re, o il ministro e il suo governo in questo caso, sono nudi, l'accoglienza e il soccorso - se si vogliono che siano tali - diventano un affare di Stato. Molto, molto più complicato da gestire pubblicamente.
Manca poi l'ultimo colpo, quello definitivo, che mostra come anche a sinistra - o nella presunta sinistra italiana - spuntino pulsioni "sovraniste". Di sinistra, è comunque il marchio appiccicato, nel disperato tentativo di inseguire elettoralmente i conati di una piccola parte di popolo addestrata a credere che i suoi guai quotidiani siano da attribuire a questi "invasori". L'ultimo colpo inferto quindi al ministro del Codice è lo smascheramento su quanto avviene nei cosiddetti respingimenti, a chi viene restituito alla Libia per essere, appunto, aiutato "a casa sua".
Parlare di torture, condizioni inumane, violenze infinite, di veri e propri lager è ancora poco. Ed è strano che nessuno fra coloro che con Al Serraj hanno stretto accordo o quanti sostengono il valore del Codice come nuovo muro ma "democratico", finora abbia avuto un sussulto.
Eppure non è da oggi che si sa quanto valorosi giornalisti hanno dimostrato sulla realtà in Libia. Ecco qui, per i distratti, un po' di siti:
Il reportage di Francesca Mannocchi
Espresso, i centri lager
Internazionale, i centri dei migranti in Libia
Tpi, i centri di detenzione per i migranti
Rainews, nel centro di detenzione di Sebha
Unhcr, i centri in LIbia
La denuncia di don Zerai
Il Post, abusi e violenze
Il rapporto Unicef sulle violenze praticate sui minori
Il pizzo della Guardia costiera libica
Le rotte degli arrivi interne secondo il rapporto Unicef |
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