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La solitudine dei numeri ultimi

Il trucco anche per i non esperti di comunicazione è fin troppo scoperto: la notizia positiva viene messa in evidenza nei titoli del Tg, spesso viene data nei pri servizi è sempre corredata da un filmato acconcio. 
Quella negativa invece non va nei titoli di testa, finisce a metà tg quando l'attenzione va al minimo (poi riprende quando si passa all'ultima parte di sport e gossip) e non è corredata dal commento filmato.

Ebbene gli ultimi dati sul tracollo del lavoro e sul fallimento del Jobs Act hanno fatto questa seconda fine. Forse non sono addirittura finiti neppure nei tg. Abbandonati, in solitudine.
Le cifre, dell'Osservatorio del precariato dell'Inps, nella loro essenzialità sono crudeli. Come queste: 398 mila 866 contratti a tempo indeterminato attivati nei primi tre mesi del 2017, 381 mila 329 quelli cessati. Saldo, + 17 mila 537 quando nello stesso periodo del 2016 erano stati 41 mila 731 (quindi la contrazione è del 7,4%) e ben 214 mila 765 negli stessi tre mesi del 2015 quando erano entrati in vigori gli sgravi contributivi al 100%.
Fonte: Infodata Sole 24 Ore

Ma quello che va sottolineato è un altro particolare, non di poco conto: Il salso positivo delle 17 mila unità comprende anche le trasformazioni ma il dato - viene osservato - è dovuto alla variazione positiva di gennaio (26.575) trainata probabilmente dalla registrazione delle assunzioni stabili di dicembre con gli sgravi previsti per il 2016 mentre a febbraio e marzo il saldo è negativo. Più in dettaglio nel primo trimestre le nuove assunzioni a tempo indeterminato, escluse le trasformazioni, sono state 310.004 (-7,6% sul 2016) - in gran parte commercio, servizi e ristorazione - mentre le cessazioni, sempre nel tempo indeterminato sono state 381 mila 329. Lavoro stabile, dunque che se ne va,"salvato" parzialmente dal lavoro precario. Ovvero dalle assunzioni a termine (+16,5%) e dalle assunzioni in apprendistato che sono state 64 mila 684 (+29,5%) mentre quelle stagionali sono state 82 mila 747 (-2,6%).
A marzo poi le domande di indennità di disoccupazione sono salite del 12% rispetto a un anno prima mentre la crescita trimestrale sull'anno precedente è del 7. In cifre sono state 381 mila 495 le richieste di indennità di disoccupazione (368 mila 993 delle quali Naspi) contro le  356 mila 497 presentate nei primi tre mesi 2016 (+7%). Nei primi tre mesi del 2014 le richieste di disoccupazione superavano quota 532.000 mentre nel primo trimestre 2015 erano 494.359.
Come non bastasse a dimostrare l'essenza del Jobs Act, la vera ratio del provvedimento, sono i licenziamenti per motivi disciplinari (giusta causa o giustificato motivo soggettivo) cresciuti in un anno  del 14,4% e addirittura del 44% rispetto al 2015. E nei primi tre mesi dell'anno siamo già a un +2,8 rispetto al 2016. Morale, meno lavoro e meno lavoratori, veramente un succo da sbandierare.

Ma siamo solo all'inizio perché il futuro è grigio, anzi nero. La Bce si avvia verso il tapering, il rientro dal quantitative easing e questo costerà circa 10 mld in più allo Stato, miliardi che incideranno su una manovra che già promette per il 2018 il ritocco dell'Iva 
Con la “manovrina” il peso degli aumenti Iva comincia a scendere da 19,6 a 15,2 miliardi e per il 2018 l'aliquota del 10% passerebbe all'11,5 mentre quella del 22%, dovrebbe passare al 25% nel 2018, al 25,4% nel 2019 per poi scendere al 24,9% nel 2020 e finire la corsa  al 25% dal 2021. Poi dovrebbe toccare anche alle accise, da ritoccare nel 2019.
Un panorama desolante al quale vanno aggiunti il reddito pro capite sceso del 12% rispetto al 2007, con un Pil a -7 punti - sempre rispetto al 2007 - e la Germania che nello stesso periodo ne ha recuperati 6. In questi anni abbiamo avuto fino a 20 mld di flessibilità europea ma senza usarli per il risanamento, senza riuscire a tagliare le tasse e a ridurre il debito (nel rapporto con il Pil salirà al 132,5 per il governo e al 133, 3 per Bruxelles) che anzi a marzo ha toccato il top a 2.260,3 miliardi di euro,  20 miliardi in più rispetto al mese precedente. L'incremento è dovuto al fabbisogno mensile delle amministrazioni pubbliche (23,4 miliardi), parzialmente compensato dalla diminuzione delle disponibilità liquide del tesoro (per 2,2 miliardi, a 54,6 miliardi) e - come ricorda l'Huffington Post - "dall'effetto complessivo degli scarti e dei premi all'emissione e al rimborso, della rivalutazione dei titoli indicizzati all'inflazione e della variazione del tasso di cambio (1,1 miliardi). Con riferimento ai sottosettori, il debito delle amministrazioni centrali è aumentato di 20,3 miliardi, quello delle amministrazioni locali è diminuito di 0,2 miliardi; il debito degli enti di previdenza è rimasto pressoché invariato". 
Intanto l'Italia cresce piano, pianissimo, lo 0,2 nel primo trimestre mentre l'Eurozona ha ripreso a correre, negli ultimi 15 anni nei paesi Ocse è salita fra l'8 e il 12%, in Italia è scesa del 6%. Che altro dire con il Qe che si fermerà se non che la manovra di bilancio si farà più pesante e le banche si troveranno con una maggiore zavorra di svalutazioni grazie  al crollo dei prezzi dei bond e gli Npl non ancora risolti.
C'è davvero da essere ottimisti e parlare di un'Italia in ripresa?Dopo i numeri, anche chi parlerà così sarà sempre più solo in Europa e nel mondo. E magari si farà ridere dietro se la situazione non fosse drammatica.

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