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Un presidente declassificato

E' difficile poter dire quale è la situazione più grave nella quale si è infilato Donald Trump - e con lui l'America - in questi cinque mesi, tanto è lungo l'elenco di decreti bloccati e incostituzionali, inapplicati, sbagliati, riforme annunciate e subito abortite, gaffe ed errori marchiani, operazioni di pulizia interna e dimissioni di membri del suo staff, fake news e bugie. 

Però la condivisione con i russi di notizie "classificate", quindi riservate ed equivalenti a segreti di Stato in quanto potenzialmente pericolose - se diffuse - per la sicurezza nazionale, probabilmente supera tutte le vicende precedenti. Anche se, per quanto paradossale possa apparire, forse è la situazione che può provocare al presidente i minori guai giudiziari.
Ad accentuare il carattere "comico" della vicenda, ma anche a confermare il valore della rivelazione del Washington Post, il fatto che nel giro di nemmeno 24 ore lo stesso Trump ha di fatto ammesso di aver condiviso con i russi le segretissime notizie  sull'Isis e la guerra in Siria arrivate all'intelligence Usa da un Paese alleato. (Il New York Times ha rivelato che si tratta di Israele)


Neppure 24 ore. Tanto è servito a Trump per far gettare alle ortiche e mettere in ridicolo il suo consigliere per la sicurezza nazionale H.R. Mc Master che si era affannato a definire "fake" lo scoop del Washington Post. (Qui un Fact Checker illuminante)
Così il povero ex generale ha dovuto correre ai ripari e cercare di porre un argine agli immensi danni di credibilità e affidabilità della presidenza parlando di appropriatezza delle informazioni condivise con i russi Lavrov e Kyslyak:
"In the context of that discussion, what the president discussed with the foreign minister was wholly appropriate to that conversation and is consistent with the routine sharing of information between the president and any leaders with whom he’s engaged. It is wholly appropriate for the president to share whatever information he thinks is necessary to advance the security of the American people. That’s what he did." (H.R. McMaster)
Resta il danno e pesante. Resta l'immagine di un Trump sempre più inaffidabile, incapace di gestire informazioni e situazioni delicate, di non riuscire ad estrarsi dalla sua figura di tycoon responsabile di una sua azienda e quindi anche capace di oltrepassare la legge, di applicare la "sua" legge, quella degli affari. Una condizione ben differente da quella del presidente della prima superpotenza mondiale. "Il presidente non era neppure a conoscenza dell'origine di queste informazioni" ha ribadito il consigliere per la sicurezza nazionale cercando di salvaguardare il capo, ma alla fine confermandone l'inaffidabilità diplomatica. E anche quella quella creative considerando che i suoi tweet sembrano sfuggire a ogni strategia comunicativa e questo fin dai primi giorni di presidenza. Al punto che da più parti si sostiene che sono molte persone dello staff ad avere accesso ai tweet i quali, in questo modo, diventano parte di una strategia comunicativo-politica che non si sa quanto condivisa, diretta o meno dallo stesso Trump. Anche per questi il Wp ha buon gioco nel parlare, anzi di insistere su un' "amministrazione caotica":
"His decision Tuesday to undermine his own West Wing staff in a series of tweets is unlikely to help him bring stability to his chaotic administration, just days before he departs on a 10-day trip abroad".
Un elemento non di poco conto che potrebbe giocare, forse anche in un medio-breve periodo, un ruolo importante nelle convinzioni dei parlamentari del Gop sulla presidenza e sulla necessità di appoggiarla in toto oppure di far scendere il livello di... condivisione - è proprio il caso di definirla così,  delle responsabilità politiche. Anche perché i dossier interni aperti tali restano, la riforma dell'Obamacare evidenzia i suoi limiti ogni giorno di più, quella fiscale non fa passi avanti e l'economia non pare risentire in particolare dei "benefici" dell'avvento dell'era trumpiana.

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