Londra chiama a sé il peggiore jihadismo, Parigi pure, Bruxelles anche, Berlino forse. Roma, chissà. E' questione di intelligence, ma anche di politiche internazionali, di rapporti occulti
più che di quelli palesi. Ed è questione di residenti, di integrati che poi non lo sono.
L'attentato di Westminster rilancia la paura in Europa proprio nel giorno in cui viene lala luce l'iPdan Ban di Trump subito imitato da Theresa May. Che nel giro di poche ore ha dovuto fare i conti con la vendetta targata Isis.
Così la Gran Bretagna si trova ancora a dover fare i conti delle sue scelte interne ed esterne: è probabile che l'attentatore ucciso nell'attacco a Westminster sia sì un lupo solitario che risponde all'appello dell'Isis alla "mattanza facile" con auto e camion. . Ma come è successo a Parigi e Bruxelles è possibile che l'uomo sia un cittadino britannico, un convertito sfuggito al setaccio degli 007. Ancora una volta, come nelle altre capitali.
Se si vuole è la dimostrazione che l'offensiva dei migranti non c'entra per nulla con gli infiltrati, con il ritorno a casa dei "foreign fighter": per un attentato, anche barbaro e "semplice" come quello di scatenare un'auto o un Tir su una folla ignara, servono appoggi, organizzazione e "coraggio", quindi una profonda ed estrema convinzione ideologica sovente sospinta e sostenuta dalla cocaina. Del tipo che non basta la promessa delle sette vergini.
Roma finora se l'è cavata grazie ai vecchissimi rapporti con il mondo arabo fino dagli anni Settanta e i buoni uffici andreottiani prima e socialisti poi. Ma se l'è cavata probabilmente perché il suo ruolo nella guerra al Califfato è e resta in secondo piano: qualche centinaio di militari a protezione della diga di Mosul, ma niente combattimenti diretti né bombardamenti. E in fondo, l'Italia non è troppo cattiva contro i migranti in fuga, aspiranti terroristi compresi. Però anche Roma ha un difetto in comune: combatte l'Isis senza una politica estera efficace, che non sia anti-musulmana sulla scia di quella trumpiana e delle guerre a stelle e strisce
più che di quelli palesi. Ed è questione di residenti, di integrati che poi non lo sono.
L'attentato di Westminster rilancia la paura in Europa proprio nel giorno in cui viene lala luce l'iPdan Ban di Trump subito imitato da Theresa May. Che nel giro di poche ore ha dovuto fare i conti con la vendetta targata Isis.
Così la Gran Bretagna si trova ancora a dover fare i conti delle sue scelte interne ed esterne: è probabile che l'attentatore ucciso nell'attacco a Westminster sia sì un lupo solitario che risponde all'appello dell'Isis alla "mattanza facile" con auto e camion. . Ma come è successo a Parigi e Bruxelles è possibile che l'uomo sia un cittadino britannico, un convertito sfuggito al setaccio degli 007. Ancora una volta, come nelle altre capitali.
Se si vuole è la dimostrazione che l'offensiva dei migranti non c'entra per nulla con gli infiltrati, con il ritorno a casa dei "foreign fighter": per un attentato, anche barbaro e "semplice" come quello di scatenare un'auto o un Tir su una folla ignara, servono appoggi, organizzazione e "coraggio", quindi una profonda ed estrema convinzione ideologica sovente sospinta e sostenuta dalla cocaina. Del tipo che non basta la promessa delle sette vergini.
Roma finora se l'è cavata grazie ai vecchissimi rapporti con il mondo arabo fino dagli anni Settanta e i buoni uffici andreottiani prima e socialisti poi. Ma se l'è cavata probabilmente perché il suo ruolo nella guerra al Califfato è e resta in secondo piano: qualche centinaio di militari a protezione della diga di Mosul, ma niente combattimenti diretti né bombardamenti. E in fondo, l'Italia non è troppo cattiva contro i migranti in fuga, aspiranti terroristi compresi. Però anche Roma ha un difetto in comune: combatte l'Isis senza una politica estera efficace, che non sia anti-musulmana sulla scia di quella trumpiana e delle guerre a stelle e strisce
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