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L'apprendista presidente

Nella sua settimana più difficile (leggere qui) Donald Trump dovrebbe aver appreso, se non compreso,  in modo plateale e doloroso he esercitare la leadership in politica non è come fare affari e richiede molto di più che non essere bravi a chiudere gli affari.

Da questa dimostrazione si potrebbe ricavare l'assunto che vale anche ad altri latitudini: la cosiddetta società civile, come la qui chiamiamo in Italia  e i suoi uomini per quanto bravi ed efficienti nelle loro professioni, spesso non lo sono affatto quando assumono un incarico politico e/o di governo. Anzi praticamente mai.
Così, con somma apprensione e forse delusione che adesso sfoga nella reazione rabbiosa, il presidente degli Stati Uniti  ha scoperto che nella democrazia più presidenziale della Terra il suo potere finisce per essere limitato e molto e che lo stesso presidente alla fine finisce per essere controllato e sottomesso al potere parlamentare: Una concezione più europea, la stessa che la giovane e inesperta democrazia italiana, mai cresciuta abbastanza, vede come il fumo negli occhi e all'origine di ogni male nella gestione della cosa pubblica.
Diciamocelo chiaro: se fosse successa una cosa simile  a quella accaduta negli Stati Uniti con la Casa Bianca costretta a ritirare una maxi riforma della legge sua sanità qui da noi come minimo sarebbe caduto un governo, forse sarebbe stato addirittura sciolto il Parlamento per andare al voto anticipato, si sarebbe rimessa mano a una legge elettorale... e si sarebbe invocata la funzionalità dei sistemi maggioritari e presidenziali!
Eppure in America accade grazie al sistema di pesi e contrappesi e all'indipendenza del parlamentare eletto dal popolo che solo al popolo risponde, senza le stupidaggini sui vincoli di mandato: negli States i partiti sono cose ben diverse dalle nostre, sono comitati elettorali ed espressioni di gruppi d'interesse, ma l'appartenenza al comune mondo occidentale porta noi europei a guardare spesso oltreoceano per cercare ispirazione ed esempi. Magari scimmiottandoli o piegandoli ai propri fini.
In questo contesto un personaggio atipico come Trump ora sperimenta sulla sua pelle cosa porta la sua originalità, il suo essere un non-politico addirittura dovendo lavorare con un Congresso a maggioranza repubblicana. Ma essendo un uomo d'affari e non un politico, un tycoon abituato a far valere la sua legge del 51% l'ha portato a non comprendere il gioco e la strategia di chi la politica la fa per professione. E di fronte a una norma odiata come l'Obamacare il Gop è arrivato a dividersi fino al punto da affossare la riforma del "suo" Trump e, di conseguenza, salvare il sistema sanitario dei Democratici. Può capire un uomo e in miliardario come Trump capire questi "giochi"? No certamente.
Trump ha vinto a dispetto e quasi contro il suo partito. Però adesso ha bisogno di quel partito, o dei democratici, per far passare le sue riforme epocali. Anche il presidente senza il suo partito non può andare da alcuna parte: questo il messaggio principale inviato. Forse l'avvertimento più sinistro è quello implicito che porta il presidente ad essere nelle mani del partito (o addirittura di un gruppo interno) e non viceversa.

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