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Broken dream(er)s


BREAKING NEWS: Il presidente Trump, alle prese con le polemiche e le quasi crisi internazionali con diversi Paesi da lui insultati sul tema dell'immigrazione e con in più il guaio delle accuse di aver comperato il silenzio di una ex pornostar, starebbe facendo marcia indietro sui Dreamers e sull'accoglienza ai profughi delle tragedie ambientali.
Lo si ricava dalla comunicazione del Servizio immigrazione secondo  da sabato riprenderà in esame le richieste di rinnovo del programma DACA, il cui stop tra l'altro era stato rimosso da un giudice federale nei giorni scorsi. La notizia del New York Times  
Tuttavia in seguito il presidente ha detto che il programma DACA " è morto, per colpa dei Dem che non hanno voluto, accettare il compromesso". In tal modo tutto tornerebbe in alto mare.

Trump vuole chiudere con una tendenza particolarmente (a lui) indigesta dell'amministrazione Obama, con una filosofia di governo e concezione culturale dell'America. E lo fa partendo dai più deboli. Lo ha fatto attaccando e, in parte, depotenziando l'Obamacare che estendeva la copertura sanitaria a chi non se la potrebbe permettere - e nei prossimi anni saranno circa 17 mln gli americani che perderanno questa facoltà -, lo ha sostenuto varando una riforma fiscale che aiuta i più ricchi e la grandi società.

Lo fa ora puntando il dito contro gli 800 mila dreamers, ovvero quegli immigrati arrivati clandestini da bambini e protetti grazie al DACA, l'ordine esecutivo di Obama del 2012. Ora l'amministrazione sostiene che quell'ordine esecutivo di Obama è incostituzionale e sarebbe stato nient'altro che un abuso di potere e, in virtù di ciò, paventando il non rinnovo del DACA entro il 5 marzo (leggi qui) e facendo sì che quegli 800 mila sognatori vedano le loro esistenze, le loro famiglie, i loro studi e lavori negli Usa, compromessi sotto la spada di Damocle dell'espulsione. Trump e il ministro della Giustizia Jeff Sessions hanno sfidato il Congresso a modificare quella tutela dando tempo 6 mesi all'assemblea.

Nel frattempo Trump trova il modo di commettere un'altra grave gaffe:


President Trump on Thursday balked at an immigration deal that would include protections for people from Haiti and African countries, demanding to know at a White House meeting why he should accept immigrants from “shithole countries” rather than people from places like Norway, according to people with direct knowledge of the conversation. (The New York Times, 11 gennaio)

L'intervento sui " dreamers" in effetti è una mossa abile della Casa Bianca: attaccando su un versante che non vota Repubblicano e tantomeno Trump, quest'ultimo mira a consolidare e rassicurare il suo elettorato dimostrando la sua capacità di rispettare le promesse. Nel contempo, infatti, sapendo che soprattutto al Senato il suo disegno potrebbe non passare, Trump ha nel contempo teso la mano a un'intesa con i Democratici - naturali protettori dei dreamers - barattando la conferma del programma di protezione con  un sostegno al finanziamento della costruzione del muro al confine con il Messico, altra promessa elettorale dell'ex tycoon. Una commissione bipartisan è al lavoro, ma non tutti nei ranghi repubblicani sono d'accordo con il possibile compromesso (che per ora non c'è, avverte la Casa Bianca) temendo che alla fine si arrivi alle migrazioni a catena (nelle ipotesi di accordi si tende a privilegiare o almeno a preservare le famiglie) anche grazie alle lotterie che concedono, su base esclusivamente causale affidata al sorteggio di un computer, visti d'immigrazione permanente negli Usa.


Per ora è braccio di ferro anche perché i Dem cercano di sfruttare, come forma di pressione, la scadenza il 19 gennaio dei finanziamenti governativi (che devono essere  autorizzati dal Congresso) senza i quali migliaia di uffici governativi dovrebbero fermarsi e chiudere determinando la paralisi di parte del Paese.

Un po' di dati sui "Dreamers"

Come non bastasse, nell'ambito delle medesima politica anti-immigrazione, l'amministrazione Trump ha annunciato che i 200 mila salvadoregni accolti dopo il terremoto devastante del 2001 e titolari del Temporary Protected Status (Tps) se ne dovranno andare e migliaia di agenti sono andati a caccia di lavoratori clandestini in oltre 100 negozi di 7-Eleven sparsi per il Paese.
Tratto da The Washington Post


Il tutto rientra nella strategia di Trump di mandare via più stranieri possibile, in particolare quelli dei Paesi latino-americani, giocando facilmente sulla caccia ai clandestini (nuovi o di vecchia data, anche se bambini) e sfruttando le pieghe delle leggi, anche quelle che in pratica hanno consentito i ricongiungimenti familiari. In questo modo, secondo la visione trumpiana, si liberano posti che gli americani disoccupati potrebbero riempire.


Ma un calcolo del tutto errato e illusorio. Il paradosso è che la scelta potrebbe ritorcersi contro l'amministrazione . Lo spiega in modo preciso ed efficace David Bier su The Washington Post . La cancellazione del permesso di lavoro - il Tps non pesa sul welfare, quindi non ha costi per la comunità Usa - farebbe sì che molti, quasi la totalità dei salvadoregni, entrerebbe nella clandestinità, usufruendo di documenti prestati da parenti o falsi. Da non dimenticare che la partecipazione alla forza lavoro è dell'88% per i salvadoregni contro il 63% di tutti gli americani e il loro reddito è più alto, 50 mila dollari contro i 36 mila in media degli illegali.
Da clandestini, diventando più deboli, sarebbero costretti ad accettare più basse da datori di lavoro che, in questo modo, per risparmiare, sarebbero a loro volta incentivati ad assumere questi nuovi "fantasmi". Il che innescherebbe una concorrenza scorretta verso altri imprenditori che sarebbero a loro volta penalizzati non solo rispetto ai costi delle merci prodotte ma anche dovendo spendere - si calcola circa un miliardo di dollari - per formare nuovi lavoratori locali. Inoltre le rimesse verso il Salvador si ridurrebbero e, stante la povertà del Paese, altri clandestini arriverebbero in Nord America.  Mentre per converso, come dimostra lo stop a un precedente Tps, quello di Bush padre del 1990, da parte di Bill Clinton nel 1996, sarebbero molto pochi coloro che, a distanza di 17 anni dall'ottenimento dello status, riprenderebbero la via di casa. Senza contare il danno per l'erario americano (niente più tasse pagate) e il lato, etico e morale, di espellere o "cancellare" oltre un milione di persone, di neo-americani, che hanno trovato un Paese dove lavorare, crescere, far crescre i figli, crearsi una famiglia, contribuire al benessere generale del Paese.
Ne vale davvero la pena mister president Trump?

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