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Fast and furious

Obamacare, il trattato Ttp, l'oleodotto Dakota, forse il ripristino delle prigioni segrete della Cia in giro per il mondo, lo stop alle agenzie ambientaliste, la riduzione dei contributi federali alla politiche abortiste, il "ricatto" alle aziende che vogliono
investire all'estero, il muro con il Messico, l'annuncio di restrizioni per gli immigrati, in particolare per coloro che arrivano dai Paesi musulmani, la prossima riduzione dei contributi a Onu e agenzie collegate, il divieto alle agenzie federali di comunicare dati e studi attraverso comunicati e social. E altro ancora
Donald Trump si muove  a una velocità forse inaspettata, di certo nei modi più diversi possibili rispetto alla tradizione laica e politically correct di chi va al governo e chi subentra a un altro. Trump ogni giorno vuol far parlare di sè, rassicurare il "suo" popolo che c'è, agisce come un imprenditore che per lui è la stessa cosa che governare. E soprattutto dimostrare che lui le promesse elettorali le rispetta.
Coerenza? Forse, abbastanza per "circonvenzionare" i superficiali commentatatori delle destre europee e italiane che, dopo un distacco sospettoso dei primi tempi, ora si stanno convertendo  (come dubitarlo?) al trumpismo, visto come nuova risorsa per la mai sparita ideologia reazionaria e abbastanza illiberale.
Fast e furious dunque il nuovo presidente che per il momento esalta i ceo delle principali case produttrici di automobili - gli stessi, a cominciare da Marchionne che incensavano pochi mesi fa le politiche di Obama che avevano permesso all'America e al suo tessuto industriale di uscire dalla Grande Recessione - e cerca di ammannire ai sui elettori la storia delle nuove fabbriche made in Usa. Dimenticando forse o non sapendo o non volendolo dire, che se nuove aziende apriranno, più che tanti posti per gli operai americani in quelle fabbriche i principali occupati saranno i robot, più flessibili, instancabili e molto, molto meno costosi degli umani. Umani che, in ogni caso, negli States hanno un costo ben superiore a quello dei loro colleghi dei Paesi meno avanzati.
"Il sindacato, infatti, ha accettato condizioni proibitive pur di non perdere la fabbrica: riduzione del 30% del costo del lavoro con una paga oraria passata dai 75 dollari del 2006 ai 52 del 2011. Oltre a questo, l’accordo con la Fiat, propedeutico al prestito del Tesoro americano, prevedeva l’aumento dell’orario di lavoro, la riduzione delle pause, il dimezzamento del salario per i nuovi assunti, l’assenza di scioperi fino al 2015, l’introduzione del nuovo modello lavorativo World Class Manifacturing e, in particolare, la fuoriuscita dall’azienda di circa 28 mila lavoratori". (Il Fatto del 3 gennaio 2014)

Ecco qui una tabella di raffronto sul salario minimo.

Per restare negli States dunque le aziende avranno bisogno di normative meno restrittive, soprattutto nel campo ambientale, energetico e della sicurezza dei lavoratori e delle città  dove operano, di incentivi ( La Fiat per salvare Chrysler e diventare Fca ebbe 10 mld da Obama, poi restituiti come quelli al sindacato (alle condizioni viste sopra) e di ulteriore riduzione dei salari e delle condizioni contrattuali. Basterà un Trump ad assicurare tutto questo.
Sul resto basterà aspettare un po' anche dopo che i mercati avranno smaltito i frutti delle speculazioni "da annuncio" sperimentate in questi giorni. Sapendo soprattutto che alla fine sarà in Congresso a decidere e avotare.
Anche perché è bene ricordare che gli ordine esecutivi non sono leggi, ma una sorta di memo del presidente inviato alle agenzie affinché regolino e prendano iniziative conformi a ciò che vuole il presidente. Ma questi memo non cambiano assolutamente subito le varie policy.

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