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C'è un giudice a Washington, anzi una lista

La "rivoluzione" comincia. Ma fin dove o fino a quando ci si potrà accorgere che una parola tanto innovativa può ormai essere declinata nel suo contrario, nell'affermazione della conservazione pura, o nel senso della restaurazione  
secondo un principio involutivo capace di mettere in discussione i principi democratici usciti dalla, quella sì, rivoluzione francese?
Domanda poco peregrina se rapportata a quanto sta facendo, o vorrebbe fare, Donald Trump a due settimane ormai dal suo insediamento come 45° presidente degli Usa. Forte della maggioranza nei due rami del Congresso, Trump nella sua spregiudicatezza di uomo d'affari sa e lo dice che ha la golden share per una "rivoluzione" globale, ben superiore a quella che seppe compiere Ronald Reagan. Perché rispetto ad allora nel mondo c'è molta meno coscienza dei diritti collettivi, i sentimenti democratici si sono affievoliti e nel mondo tira un vento populista-fascista che ha tolto alla sinistra l'atout della contestazione radicale alla globalizzazione risollevando i motivi del razzismo e della paura dell'immigrato complici decisivi nel corollario di una crisi economica che è anche crisi di sentimenti e idee.
Ebbene i Repubblicani sono partiti all'assalto dell'Obamacare di cui hanno già chiesto l'archiviazione totale pur sapendo che oltre 20 milioni di americani perderebbero ogni diritto alle cure. Poi non vuole chiudere, anzi mira a rilanciare Guantanamo. Il team sulla transizione sta lavorando a un incarico di costruzione del muro con il Messico laddove la recinzione si annuncia insufficiente.  Le sanzioni alla Russia non avranno vita lunga, anche se Trump non ha rivelato la versione che a suo dire contraddirebbe la ricostruzione della Cia sull'influenza degli hacker sulla campagna elettorale e ieri c'è stato un confronto con le autorità dell'intelligence sui rapporti attesi, una conferenza che ci doveva essere ed è stata spostata e le ricostruzioni degli 007 che potrebbero non andare nella direzione auspicata dal neo presidente.
Ma la partita più grossa e fondamentale è quella della Corte Suprema. Il presidente Obama non è riuscito a far passare un suo uomo al posto dell'ultra conservatore Antonin Scalia, morto improvvisamente il 13 febbraio dello scorso anno. Trump ha un'opportunità formidabile: quella di poter cambiare per decenni la formazione della stessa Corte, orientandola attraverso le nomine, in senso nettamente conservatore. E si sa quanto la Corte può condizionare pesantemente gli effetti delle politiche.
Così si è espresso l'ex speaker repubblicano Newt Gringrich
"Ha capito chiaramente che può avere la possibilità di ridefinire il tribunale per una generazione o più e  sta prendendo molto sul serio questo compito"
Ma contrariamente alle attese Trump non avrebbe fretta nel sostituire Scalia: la nomina di un altro conservatore non cambierebbe di molto gli orientamenti recenti della corte dove gli orientamenti moderati di chi è classificato come conservatore non dà, oggi, molte chance alternative a un approccio liberal. Secondo i consiglieri di Trump - che in campagna elettorale presentava una lista di 21 è consigliabile un'altra strategia per blindare la Corte: ci sono un paio di giudici, la prima d'impronta liberal, il secondo più indipendente che conservatore, che per l'età potrebbero presto ritirarsi: Ruth Bader Ginsburg ha 83 anni e il giudice dal voto "libero" Anthony Kennedy 80. L'idea, anche per superare il severo vaglio congressuale, sarebbe quello di operare non solo in sostituzione di Scalia, ma anche degli altri due, pescando ovviamente fra i più fedeli repubblicani. Trump ha sempre sostenuto con i suoi di non volere gente "debole" e soprattutto non vuole correre un rischio, quello paventato dai repubblicani più estremi: quello del precedente di David Souter e Sandra Day O' Connors, repubblicani, ma spesso schierati con i liberal. Ma anche evitare casi come quello di Joh Robert's, Chief Justice scelto da George W. Bush ma che ha alla fine confermato che la riforma sanitaria di Obama era costituzionale.  
Quale sarà la scelta -personale e di strategia - avverrà con tutta probabilità all'interno della lista di 21 giudici federali presentata in campagna elettorale o di un ulteriore elenco di 11. E tempi duri si annunciano per diritti e minoranze. Anche se vale sempre, ed è uno dei dubbi di Trump, ciò che ha ricordato Curt Levey di FreedomWorks e del Comitato per la giustizia:  "So quello che pensa un segretario di Stato, ma non sono sicuro di quello che pensa un giudice della Corte Suprema. Questo lo rende imprevedibile".

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