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Ombre cinesi e fantasmi a Roma


Dopo la grande paura del secolo scorso - che si cosacchi portassero i loro cavalli ad abbeverarsi in piazza San Pietro - adesso avremo i pulmini dai vetri oscurati di Uber che scaricheranno gruppi di businessmen cinesi davanti alle nostre imprese, nei nostri porti e aeroporti, con sottobraccio progetti di infrastrutture essenziali e schemi di reti digitali che arriveranno fin dentro le nostre case e perfino nei nostri smartphone?

La prossima firma da parte del governo italiano del Memoranda of Understanding (MoU), un protocollo che manifesta l'interesse strategico dell'Italia per la Via della Seta, il mega progetto  di Pechino definito Belt &Road Initiatives (Bri) che mira a stabilire un collegamento infrastrutturale tra Cina ed Europa così da offrire uno sbocco  diretto e privilegiato alle merci cinesi e (in teoria) anche una via per le merci che si muovono nel senso opposto.


Contro questo "cedimento" italiano si sono schierati gli Usa e l'Europa i quali adducono i pericoli insiti nell'accordo (anche se il MoU è una cosa ben diversa, stabilisce linee d'intenti ma i progetti specifici e le intese, i contratti nel dettaglio devono seguire e saranno siglati a parte in futuro, settore d'intervento per settore d'intervento) e le possibilità che le mani di Pechino si allunghino fin dentro ambiti nazionali delicati per la sicurezza e centrali per le strategie del Paese.


Timori legittimi - al di là dei punti ancora oscuri sul caso Huawei e i possibili trojan sulle linee e negli smartphone - ma bisogna avere ben chiaro un concetto: negli affari non vi sono amici ma solo alleati momentanei, in funzione degli interessi reciproci o, in caso di intese fra stati di peso economico sproporzionato, di una sola sola delle parti. La più forte, naturalmente. Il che tradotto significa che, se da un lato i timori occidentali possono avere un fondamento viste le mire geopolitiche e geoeconomiche di Pechino, dall'altro non va dimenticato che l'America in primo luogo, e quella di Trump soprattutto, ha tutto l'interesse -legittimo - a non far entrare concorrenti in quelli che ritiene i suoi giardini di casa. L'Italia in questo caso.
Così basta andare un po' oltre le chiacchiere populistico-sovraniste di questi giorni, per osservare che MoU come quello che il 22 marzo Xi Jimping firmerà a Roma, sono in pratica già stati accolti e sottoscritti in contratti con altri Paesi europei, la Germania, la Gran Bretagna, la Francia tra gli altri. Nel 2015 l'allora premier britannico Cameron aprì le porte a 46 mld di dollari di investimenti cinesi in settori strategici come energia, servizi finanziari, sanità, aerospaziale, scuola. Ma vi sono altri esempi e le contraddizioni europee sono ben spiegate in questo servizio di Sky Tg24 .


Il governo - tra dubbi e divisioni -  rassicura sulla differenza tra il MoU e i trattati veri e propri che saranno redatti dopo un accurato esame di vincoli e conseguenze. Per il momento l'approccio di Pechino è molto prudente, quasi più simbolico che effettivo:
"I veri risultati ottenuti dalla Bri si situano sul piano cognitivo e simbolico, dimensioni fondamentali per strutturare in profondità il sistema internazionale. L’aiuto (certo non disinteressato) che la Cina dà ad altri Paesi emergenti e in via di sviluppo garantisce la legittimità necessaria per elaborare una nuova narrativa dello sviluppo, che assegna un ruolo cruciale alle infrastrutture e al settore pubblico, alternativo rispetto a quello che il Washington consensus negli anni 90 assegnava al mercato, all’equilibrio macroeconomico, alle privatizzazioni. E intorno alla Bri stanno sorgendo istituzioni - tra le quali la Asian infrastructure investment bank (Aiib) e gli Istituti Confucio - per promuovere principi e standard nuovi rispetto alla good governance veicolata dalle istituzioni di Bretton Woods." (Il Sole 24 Ore)
L'obiettivo finale è però abbastanza trasparente: creare una rete di potere e istituzioni economiche globali alternative a quelle Usa-centriche capaci quindi di attrarre Paesi terzi non più soddisfatti del club americano o in cerca di condizioni migliori. Ad esempio non sono pochi, fra i critici di questi giorni, che vedono nella Asian infrastructure investment bank (Aiib), una banca di sviluppo nel cui board vi sono rappresentanti di quasi tutte le nazioni europee e occidentali (ma non gli Usa), uno strumento per sostenere gli investimenti nella Bri e quindi finendo per aiutare i Paesi emergenti o anche quelli in difficoltà (come l'Italia?)  ma interessati alle infrastrutture della Via della Seta (ancora il servizio di Sky Tg24).
I problemi nascono dalla capacità di Pechino, in questa politica di espansionismo, di rispettare regole e condizioni dei Paesi in cui possono finanziare le opere, di tenere ben separato il fattore business da quello del rispetto della sovranità (e dei segreti) e delle politiche nazionali o europee nel loro complesso.


L'altro aspetto critico è quello della reciprocità, della trasparenza d'intervento qui ma anche là quando le industrie occidentali devono confrontarsi con un mercato e un sistema economico ancora chiusi e in buona misura condizionato se non direttamente controllato dallo Stato e dal partito comunista. Osserva infatti Alessia Amighini su lavoce.info che

"... il 24 ottobre 2017 il perseguimento della Bri è stato inserito nella Costituzione cinese, che coincide con la Costituzione del Partito comunista cinese. È dunque oggi un obiettivo strategico di stato, non una mera iniziativa economica e commerciale. Include l’obiettivo di migliorare la connettività tra Cina ed Europa, attraverso reti di trasporto e logistica, ma accanto a obiettivi molto più estesi e strategici, come integrazione finanziaria, cooperazione nelle infrastrutture (non solo di trasporto ma anche energetiche), libero scambio, scambi culturali e di persone".
Non mancano, come ricorda sempre  la Amighini nel report, i rilievi politici e pratici:  questi ultimi sono legati alla fumosità del MoU - sono ben diversi gli accordi stretti da altri Paesi -, alla sua ambiguità, mentre sui primi emerge la contraddizione dell'intesa fra la Cina e un Paese Nato ma anche e soprattutto il fatto che l'Italia si sia mossa comunque da sola, al di fuori del contesto e di raccordi con la Ue.


Da leggere : La Cina è vicina

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