Però, se dal confronto si può trarre qualche elemento di giudizio, si può dire che senza la moneta unica l'Europa forse non ci sarebbe più e comunque sarebbe frammentata con la maggioranza degli Stati raccolti attorno alle economie e alle potenze storicamente aggreganti, quindi Germania e Francia, lasciando stare la Gran Bretagna che nell'Europa è sempre stata con un piede dentro e uno fuori, che non ha mai scelto l'euro al posto della sterlina e che sostanzialmente nella Ue non ha mai creduto fino in fondo preferendo controllare da vicino le scelte e far sì che non potessero danneggiare Londra.
Ma con l'euro, per converso, l'Europa non è riuscita a unirsi molto di più, le resistenze e le specificità nazionali si sono salvaguardate e in qualche caso accentuate, la Grande Crisi del 2007-2008 non è stata evitata (ma gli effetti, quelli sì, almeno contenuti) e ha finito per dare la stura all'insorgere di populismi e nazionalismi che - questi sì, oggi - ne mettono in discussione permanenza e futuro.
Una situazione quasi inevitabile vista la conformazione politica che la Ue ha voluto darsi, molto Bruxelles-centrica, a giudizio di John Hulsmann dell'Us Council on Foreign Relations che ha chiamato in soccorso l'impostazione di Thomas Jefferson, terzo presidente degli Stati Uniti (1801-1809) ed alfiere nel nazionalismo Usa. Secondo il professore americano l'Europa, proprio per le sue diversità e specificità nazionali alla fine non è riuscita a produrre nulla di significativo con l'adozione della moneta unica, anzi il voler ignorare le istanze locali ha portato - secondo il relatore - proprio al fallimento di questa idea di Europa costruita attorno all'euro. Per questo, dice Hulsmann proprio al Vecchio Continente sarebbe servito un modello confederale che garantisce le indipendenze per ciò che rappresenta all'interno e si presenta unito per verso l'esterno, verso il resto del mondo.
Una tesi però non condivisa da Charles Wyplosz, professore di economia internazionale a Ginevra, per il quale gli Stati Uniti non sono un modello da rapportare alla Ue, entità dove le istituzioni nazionali e sovrastatali , necessarie e fondamentali, - ha osservato - sono state realizzate in tempi molto più brevi che non oltre oceano (la Fed ad esempio in rapporto alla Bce). Wypsloz ha riconosciuto che la Ue e il suo euro non sono la panacea e che per scalare la vetta verso un'unione più effettiva serve tempo, ancora tanto tempo. Ma rispetto alle attese sull'euro e sul fattore positivo che la moneta unica ha - o potrebbe avere - sulle economie ha messo in guardia: italiani, ha sottolineato, non aspettatevi "trasferimenti" fiscali, tipo eurobond o simili, in particolare dai paesi del Nord e del Centro Europa. Come dire che, euro o no, i conti ognuno se li deve far quadrare da soli in assenza di politiche economiche comuni o replicabili da Nord a Sud.
Una prospettiva, quest'ultima, sostenuta anche da un altro relatore, Costas Lapavitsas, docente di economia all'università di Londra, secondo il quale i trasferimenti fiscali non sono la soluzione, anzi a lungo andare implicano una dipendenza dal Paese o dai paesi che prestano denaro, influenza che finisce per avere negative ripercussioni politiche.
Infine a difendere l'euro - senza nascondere i flop e i limiti - è toccato all'ex ministro dell'Economia con Prodi Vincenzo Visco che ha ricordato le condizioni in cui si trovava l'Italia pre-moneta unica, con esperti e esponenti politici internazionali che dicevano chiaramente che "il problema non è se l'Italia andrà in default, bensì quando". Visco ha evidenziato il recupero italiano degli anni a cavallo fra il Novecento e il Duemila, con abbattimento dello spread, grandi avanzi e debito pubblico ridotto rispetto al passato recente, ma ha anche riconosciuto gli errori compiuti come l'allargamento a Paesi - quelli dell'Est - senza imporre loro condizioni per far sì che non si producesse quella stortura di migrazioni di aziende a cui si è assistito per anni. E l'euro? Una buona moneta, per Visco, che oggi rappresenta il 20% delle riserve mondiali (il dollaro è al 60%), che ha contribuito alla stabilità dei prezzi, ha calmierato il costo del denaro e ha raddoppiato l'import/export interno. Piuttosto ciò che non ha funzionato è stato l'uso dell'euro che se ne è fatto, le politiche degli Stati più forti spesso ai danni dei più deboli (vedi Grecia), deludente - ha aggiunto - è stata la performance dei Paesi dell'Eurozona. In sostanza l'euro è servito, ma non tutti l'hanno interpretato in tal modo, preferendo agire e sfruttarlo per politiche interne invece che globali nel Vecchio Continente e fermando o rallentando i processi di unione/compartecipazione politica, fiscale, bancaria che alla moneta unica avrebbero dovuto far seguito.
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