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Brexit: indietro, in ordine sparso


Voglia di uscire, anzi no. Voglia di un accordo. Anzi no. Voglia di un semi accordo. Anzi no. Voglia di referendum. Anzi no. Voglia di crisi di governo e nuovo voto. Forse.

Ben oltre l'orlo di un Paese in crisi di nervi, la Gran Bretagna non sa letteralmente cosa fare. Più che altro non lo sa il suo governo e il suo Parlamento che mercoledì sera, in otto diverse votazioni, non è riuscito a indicare una strada per uscire dalla drammatica impasse in cui si è cacciato a quasi tre anni dalla consultazione che dette l'ok di abbandonare la Ue.
Dopo che la Camera dei Comuni ha preso in mano il pallino, la situazione non sembra migliorata di molto. E adesso la May, in un estremo tentativo chiede ai parlamentari di votare la sua intesa con la Ue e in cambio darà le dimissioni. Il che vorrebbe dire andare di corsa al voto anticipato. Ma anche questa opzione potrebbe non raccogliere la maggioranza. Come è successo a tutte le altre opzioni sul tappeto. Sebbene, come annota Business Insider, un paio abbiamo mancato il sì per una manciata di voti: quella che prevede un nuovo referendum e quella che punta a un'unione doganale permanente con il resto d'Europa, pur stando fuori dalle stanze del potere di Bruxelles.
Ecco come Business Insider ha riassunto il voto dei Comuni:

  1. No-deal Brexit - 160 sì, 400 no
  2. Un Common Market 2.0 "soft" Brexit - 188 sì, 283 no
  3. Adesione al mercato unico attraverso lo Spazio economico europeo - 65 anni, 377 no
  4. Iscrizione al sindacato doganale - 264 sì, 272 no
  5. Piano alternativo del lavoro - 237 sì, 307 no
  6. Revoca l'articolo 50 per evitare il no-deal - 184 sì, 293 no
  7. Un nuovo referendum - 268 sì, 295 no
  8. Un no-deal "gestito" - 139 sì, 422 no
Intanto Theresa May, a una riunione di parlamentari conservatori, ha messo sul tavolo le sue dimissioni in cambio di un via libera all'accordo concluso con l'Europa. Una dichiarazione che arriva dopo le pressioni che si sono moltiplicate nei giorni scorsi sul primo ministro la quale aveva sempre detto di voler lasciare, ma solo dopo aver guidato l'uscita della Gran Bretagna. Ora invece mollerebbe il bastone del comando un attimo dopo il via libera. Che non è detto possa convincere i parlamentari Tory, visto che il gruppo si è diviso fra chi sosteneva i contenuti di un'intesa o nuova intesa con Bruxelles, e chi invece - come Boris Johnson - preferirebbe definire subito il giorno e l'ora dell'uscita di scena di Theresa May. 
L'ultimatum del premier aveva avuto in un primo tempo il merito di radunare attorno all'accordo di maggio anche i suoi oppositori interni. Ma poi , complice la paura che la May potesse giocare sul tavolo di un nuovo negoziato dai tempi lunghi, il partito si è di nuovo diviso. Il risultato, con le otto votazioni, si è visto.
A questo punto due restano le ipotesi: in pratica una Brexit no deal entro il 12 aprile (un'eventualità choc, con tutte le peggiori ricadute previste e simulate da tempo, con la grande finanza  che rischia il tracollo e la rinascita delle frontiere), data ultima imposta da Bruxelles o un negoziato di nuovo riaperto, su tutto e con tempi molto lunghi, perfino e forse oltre un anno. In ogni caso, con la bocciatura del piano May, si riaprirebbero i giochi nella ricerca di una nuova intesa  che, però, avrebbe bisogno di tempo e consegnerebbe, di fatto, Londra nelle mani della Ue. L'attesa di un nuovo accordo, la lentezza e la complessità però, nel frattempo, però giocherebbero a favore dei fautori del remain.





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