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True lies

Una vita di bugie e la bugia diventa vita, elemento di vita e di esistenza. Sembra questo, a sei mesi dall'insediamento, la cifra politica di Donald Trump. Così connaturata all'interno del suo essere ancora imprenditore  e tutt'altro che rappresentante del popolo, di tutto il popolo, dal risultare per un verso difficile scindere i due personaggi e dall'altro  fin troppo facile, a fronte di un accorto e rigoroso lavoro d'indagine e verifica, scoprire laddove l'uomo mente o mistifica la realtà.

Un esercizio che fin dall'inizio della presidenza ha visto la grande stampa americana applicare il metodo del riscontro attraverso il fact checking delle dichiarazioni di Trump, uomo e presidente anticonvenzionale che molto spesso usa il canale di Twitter piuttosto che quelli ufficiali. E tantomeno quelli consolidati dalle liturgie istituzioni-mass media, al punto che  ormai nei briefing dalla casa Bianca vengono escluse le tv e anche  alcune testate scomode, oltre ad essere vietate le foto al punto che i giornali mandano i ritrattisti e i disegnatori che di solito sono impegnati nelle corti di giustizia.

BREAKING NEWS Trump però ha deciso di andare anche oltre: così ora è passato all'insulto o al giudizio pesantemente sessista e volgare contro una conduttrice tv. Ecco cosa è accaduto
Il presidente si rivolge ai due conduttori di Morning in questi termini: 
«Ho sentito che @Morning Joe con i suoi bassi ascolti parla male di me (non lo guardo più). Allora come mai matta Mika con basso Q.I., insieme con psycho Joe, vennero a Mar-a-Lago per tre sere di seguito attorno a Capodanno e insistettero per unirsi a me. Lei sanguinava tremendamente in seguito ad un lifting del viso. Dissi di no!»


Il New York Times ha fatto un lavoro incredibile mettendo in fila le dichiarazioni fallaci e spiegando perché e come il presidente non ha detto la verità. In particolare il Nyt ha elencato  le 20 bugie di primi 40 giorni alla casa Bianca e le 74 raccolte nei 113 giorni di presidenza. Nell'elenco non sono comprese le dichiarazioni più politiche e quindi meno contestabili, i tweet più ambigui e quelli senza un riscontro vero e proprio anche se con un forte accento di falsità.

Il lavoro del New York Times

Ma come mette in risalto Repubblica, che ha dato qualche spunto del lavoro del Nyt (qui sotto), ormai le menzogne del presidente, anche quelle più grossolane, finiscono sempre più spesso per essere lette e viste con noia, generano noia nell'opinione pubblica più che aumentare l'indignazione e far traballare Trump.

21 Gennaio - "Non sono stato un fan dell'Iraq. Non volevo andare in Iraq". (Prima ha supportato l'invasione, poi si è dichiarato contro). 21 Gennaio - "Tra i 3 e i 5 milioni di voti illegali mi hanno fatto perdere il voto popolare". (Non ci sono prove che i voti fossero illegali). 23 Gennaio - "Il pubblico è stato il più grande di sempre. Era una folla enorme. Guardete fin dove arriva. Questa folla era enorme". (Gli scatti aerei ufficiali mostrano che all'inaugurazione di Obama c'è stata molta più partecipazione). 11 Aprile - "Apprezzo Steve, ma dovreste ricordare che non è stato coinvolto nella mia campagna sino a tardi. Io avevo già battutto tutti i senatori e i governatori e non sapevo chi fosse Steve" (Conosceva Steve dal 2011). 12 aprile - "Il segretario generale e io abbiamo avuto una discussione produttiva su ciò che la Nato può fare in più per combattere il terrorismo. Mi sono lamentato di questo tempo fa e ora hanno fatto un cambiamento, ora combattono il terrorismo" (La Nato è coinvolta nella lotta al terrorismo dal 1980). Tratto da Repubblica

Come spiega qui infatti Federico Rampini  chi lo odia è solo rafforzato, negli altri invece subentra oltre al sospetto verso i grandi media, collocati nel campo liberal, la convinzione che si tratti di affermazioni non da prendere alla lettera ma da interpretare. In fondo, potrebbe dire un sostenitore di Trump, è il suo modo di spiegare e affrontare il politicamente corretto di questi anni, una sorta di provocazione per far emergere il suo messaggio. Che, è il pensiero di un sostenitore di Trump, almeno finora è giusto.
Anche per questo i Democratici faranno bene a ripensare alla strategia anti Trump attuata finora e che, almeno nel cinque elezioni suppletive in altrettanti collegi senatoriali, non sono riusciti a prevalere neppure in uno. Sebbene, va detto, nessuno di questi seggi fosse mai stato in bilico ed erano sempre stati a forte appannaggio dei Repubblicani. Così ha scritto Francesco Costa del Post nella sua newsletter:
La buona notizia per i Repubblicani, e cattiva per i Democratici: i problemi dell'amministrazione Trump non hanno ancora scoraggiato la base del suo partito, e da soli non basteranno per riprendersi il Congresso alle elezioni di metà mandato. La buona notizia per i Democratici, e cattiva per i Repubblicani: erano cinque collegi storicamente molto Repubblicani, in cui è già tanto che i Democratici siano stati competitivi. Se hanno perso di poco in questi posti dove di solito straperdono, possono vincere in posti dove di solito stanno pari.

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