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Clima, tira una brutta aria


Trump ritira l'adesione americana al trattato di Parigi sul clima. La decisione, attesa, è stata rivendicata dal presidente come conferma della parola data gli elettori e determinata dal fatto che gli obiettivi di riduzione delle emissioni fissati  "non sono realistici per gli Stati Uniti", favorendo invece Paesi come la Cina. Le decisione però avrebbe diviso  la West Wing tra  il segretario di Stato Rex Tillerson, contrario a uno strappo così forte con l'Europa ma anche con la Cina, e dall'altra il numero uno dell'Epa (l'agenzia ambientale federale) Scott Pruitt, noto per essere un "falco" a causa delle posizioni di estremo scetticismo sulla lotta ai cambiamenti climatici.

Tutto questo avviene mentre torna la Via della Seta, (la nuova Via della Seta)  proprio mentre Trump, oltre alla decisione sul patto di Parigi, riscopre l'America nazionalista e autosufficiente e  arriva al punto di rottura proprio sul commercio con la Vecchia Europa e in particolare con la Germania.


Le conseguenze del ritiro delle firma americana dal protocollo di Parigi che prevede un drastico taglio delle emissioni e grossi investimenti nelle energie pulite sono comunque gravi anche se Trump ha detto che vuole andare a un nuovo negoziato sul clima

Domande  e risposte sull'accordo di Parigi

Cosa succederà adesso?

Una mossa annunciata in campagna elettorale con la motivazione di eliminare i troppi vincoli che costringerebbero l'industria nazionale impedendole di svilupparsi come potrebbe. Aggiungendo poi la convinzione di Trump e dei suoi consiglieri che in fondo il mondo non corre troppi pericoli dall'inquinamento e dall'alterazione del clima, un allarme - è la sua convinzione - esagerato e sostenuto da una lobby ambientalista che coinvolge migliaia di scienziati a ogni latitudine.


Ecco qui i passaggi che Trump ha già compiuto per smontare l'agenda Obama sul clima. Ma la possibile, a questo molto probabile scelta americana, rischia di gettare nel caos le politiche non solo ambientali, ma industriali del pianeta anche e soprattuto per il peso che la produzione Usa ha. Non per niente non è passato inosservata la presa di posizione a favore dell'accordo di Parigi espresso dai Ceo delle maggiore aziende, in particolare dell'hi-tech e delle energie rinnovabili. (Vedere qui). E non ha un peso trascurabile che uno dei Paesi finora maggiormente responsabili di molti guai ambientali a livello globale, la Cina, abbia confermato di voler andare avanti sulla base dell'intesa sottoscritta. Ciò non toglie che un'uscita degli Usa avrebbe anche un forte impatto psicologico e potrebbe convincere qualcun altro, magari sulla spinta delle politiche bilaterali auspicate da Trump, ad abbandonare la partita. Senza contare che il segnale inviato al mondo sarebbe proprio quello voluto: che non converrà più, o non abbastanza almeno, investire in politiche ambientali "politicamente corrette" e preparare il terreno al ritorno - anche questo spinto dalla nuova amministrazione Usa - delle energie fossili come il carbone rilanciando i consumi di petrolio, un mix che aiuterà la ripresa delle emissioni e il conseguente - e previsto - rialzamento di 3,4 gradi  entro la fine del secolo. Una circostanza che per la comunità scientifica quasi all'unanimità significa un disastro in grado da solo da mettere in discussione del pianeta e dell'uomo.

Il cambiamento climatico, leggi qui

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