All'appello mancano tanti episodi "minori", tante altre stragi perdute nella cronaca. E il passato remoto, New York 11 settembre 2001, e Madrid, e Londra e... E mancano Kabul, Baghdad, il Pakistan, le Filippine, l'Egitto, Aleppo. E le mille e mille paure quotidiane, gli allarmi sventati e quelli finti, gli espulsi e i nascosti vicino. Prima era Al Qaeda ora è Isis. Domani non si sa.
Dopo l'ennesimo attacco a Londra, dopo le bombe tra gli adolescenti, le coltellate per strada, le cinture esplosive vere o finte, le prime distruggono i corpi, le seconde i cuori e le menti. La sicurezza in Occidente lo dice: cobntro questi attacchi, di singoli, con coltelli o furgoni lanciati tra la folla, durante una festa o un mercato, c'è poco da fare. Si possono solo prevenire se un qualche microfono intercetta un dialogo ambiguo, un sussurro per strada, se i motori di ricerca segreti dell'intelligence scovano messaggi sinistri o in codice.
Il risultato è che il terrore s'insinua, si gira al largo da Londra come prima da Parigi, il grande concerto è intuito più come occasione di pericolo che appuntamento di relax. Il mix ci fa uscire meno, viaggiare meno, parlare meno, dialogare meno. Soprattutto con l' "altro", soprattutto se ha la kefiah o la djellabah, non parliamo poi di niqab, hijab, chador o burqa.
Eppure anche tanti ragazzi di piazza Tahrir al Cairo o quelli di piazza Taksim ad Ankara avevano la kefiah e il niqab, altrettanti erano a volto scoperto, laici e musulmani vicini, con il sasso in mano e la libertà sulle labbra. Avevano dietro i soldi di Soros? Può darsi, anzi quasi di certo ma quale rivoluzione non ha chi la finanzia? Fu la Germania a finanziare Lenin.
Per battere l'Isis però la strada dev'essere diversa, qui in Occidente e ancora di più nel Vicino Oriente. Altro che stop agli iPad e i questionari sugli ultimi 15 anni di vita ideati da Trump! Il nodo è politico, nei neocolonialismi del post 11 settembre, nel superamento del classismo religioso o di quello fra religione e laicismo, nella cultura della società. Quella nostra e quelle mediorientali o islamiche.
L'Afghanistan e le due campagne in Iraq con le guerre del Golfo dovrebbero averlo insegnato. Ma le Cancellerie, se in mano a chi sulle guerre campa e vuole ricostruire imperi di carta, si sa non hanno la memoria lunga. Il loro orizzonte, sempre più spesso, è temporaneo, giornaliero quasi, limitato al tempo in cui un evento nasce e si consuma sui media e sui social ansiogeni e moltiplicatori di agenti patogeni.Così si sgancia la superbomba per dare un segnale, si bombarda a tappeto la Siria per fare tabula rasa di jihadisti, civili, ribelli pro o contro, militari pro o contro. Tanto che sembra valere l'antico e sciagurato richiamo del legato pontificio Arnaud Amaury, il quale impegnato nell'assedio dell'eretica Béziers nel 1209, quando venne interrogato da un soldato su come poter distinguere gli eretici dagli altri, risposte "Uccideteli tutti, Dio riconoscerà i suoi".
La guerra al fanatismo fascista e sovranista-integralista passa quindi dal riconoscimento che la nostra società come quelle arabe nazional-affaristiche non sono il modello adatto per impedire la contaminazione del populismo religioso (che pure alimentano): come si fa nei sobborghi del Cairo o della banlieue a spiegare ai giovani, arabi o no, che la nostra società è giusta sempre e comunque, quando bombarda i loro coetanei come quando li tiene lontano dal lavoro o dalla giusta retribuzione? Che non si uccidono gli inermi qui quando altrove i jet alleati "arano" interi villaggi? Che i piccoli morti nelle stragi a Occidente "valgono" di più dei loro coetanei afghani? Che le donne sono uguali in tutto e per tutto agli uomini, hanno gli stessi diritti quando poi gli occidentali vanno a Riad e le donne scompaiono e non possono neppure guidare o dare la mano a un uomo?
Il nullismo jihadista s'impossessa delle contraddizioni, sfrutta la rabbia, la riempie di illusioni vacue e spedisce i suoi nelle campagne di morte. E noi rispondiamo con i bombardieri scatenati su Raqqa e con la restrizione progressiva della nostre libertà a Londra come a Parigi. Dimenticando, e non è un caso, che proprio per quanto detto prima, la strada è un'altra: quella di Kobane la città siriana liberata a fine aprile del 2015 dalle milizie curde dopo aver resistito a un assedio durato più di sei mesi. I curdi del Ypg-Ypj non sono il braccio armato della resistenza al buio islamista, ma sono portatori di un modello di società equalitaria e democratica che è un modello alternativo per i giovani e le donne nel Kurdistan siriano come in quello iracheno e in quello turco. E per questo il più "rischioso" di fronte al vuoto del radicalismo sunnita di cui potrebbe scuotere le fondamenta, non solo a Raqqa ma anche a Riad e perfino ad Ankara. Un esempio anche militare perché alla riconquista con le armi in mano avvia una ricostruzione sociale che, in prospettiva, potrebbe rivelarsi critica per i sistemi liberisti che articolano come uno stato di necessità e ineluttabile la presenza in Occidente dei ghetti e delle zone di disuguaglianza, povertà ed emarginazione.
In fondo erano contro l'Isis ma anche contro il nazionalismo-islamico post kemalista i giovani di piazza Taksim repressi da Erdogan nel sangue. E fra di essi c'era anche - riuscendo a fuggire - Ayse Daniz Karacagil la ragazza dal "cappuccio rosso" uccisa sul fronte di Raqqa sotto le insegne del Ypj e raccontata da Zerocalcare
nel suo Kobane Calling. In principio fu appunto Kobane, ora deve essere Parigi, Londra, Bruxelles, Roma, Milano, Ankara, Cairo, Riad...
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