Uno dei problemi sarà far capire alle fascio-destre italiane che a Mattarella si può dire di no, anche minacciarlo di impeachment, che si può promettere di ribaltare i tavoli a Bruxelles pretendendo di cambiare le regole,ma un’altra cosa è pretendere che chi macina denaro, chi specula sul debito italiano, chi si arricchisce sul sangue di un Paese smetta.
Per quale motivo dovrebbe farlo chi non si è fermato un attimo sull’impoverimento, sulla tragedia del popolo greco, che su quel dramma ha trovato modo di guadagnarci ancora e far guadagnare quei Paesi senza debito e arricchitisi loro stessi con i problemi degli altri lo sproporzionato avanzo tedesco, per fare un esempio)? È vero che l’Italia è too big too fall , ma non siamo più al centro di una crisi sistemica come nel 2008 e negli anni successivi, gli altri quella recessione l’hanno alle spalle e la loro crescita è molto più altre sicura della nostra, incerta e parziale, con un debito pubblico che dai noi, pur con il decisivo sostegno all’economia dato dal QE di zio Draghi, invece di scendere è salito ancora. Ma i fascio-populisti dovrebbero sapere che da una bancarotta italiana sono in tanti a poterci guadagnare e non si faranno scrupoli. Anche perché le successive macerie sarà ancora meno costoso rilevarle, saranno disponibili a prezzi da saldo. E il conto lo pagheranno i deboli, gli indifesi del popolo affascinato dalle teorie da curva sud o nord. I ricchi e possidenti i loro conti li metteranno al sicuro e anzi si accoderanno ai prodotti migliori e definitivi della grande finanza, finendo così loro stessi per accentuare la caduta del loro Stato. Chi ha evaso ed evade, il libero professionista speculerà allo stesso modo. Gli altri, i meno garantiti, gli anziani, i giovani, le donne, i dipendenti pagheranno.
Come faranno i nostri a fermare questa grande finanza, marceranno su Moody’s o sulla Bundesbank? Occorre un sano esercizio di realismo. Ed ecco chi lo ricorda, naturalmente dalla sua posizione ed osservando la dinamica della crisi unita a quella spagnola con la probabile sfiducia al governo Rajoy.
Wall Street Journal
Intanto, giusto per avere un assaggio dell'attacco degli squali speculatori, oggi lo spread è salito fino a 320 punti e la Borsa continua a perdere il 2-3% al giorno. Ricatto? Vero, verissimo. Attacco all'Italia? Vero. Una riprova le dichiarazioni del commissario tedesco al Bilancio Oettinger secondo il quale “ i mercati insegneranno agli italiani a votare”. Ma nonostante le rassicurazioni di Bankitalia e industriali sui fondamentali delll'Italia che sono ottimi (a dire il vero, sosteneva la stessa cosa anche il ministro Padoan quando parlava di banche, ben conscio dei Npl che custodivano in pancia e di quanto maturava in Mps, per ora salvata ma grazia a una sorta di nazionalizzazione fatta ma non espressa - guai a parlarne in questi termini in tempo di liberismo sempre e ovunque -, o in Veneto banca o Popolare di Vicenza, per citare solo gli ultimi casi), in caso di spread a questi livelli prolungato nel tempo la spesa degli interessi per finanziare il debito è destinata ad accrescersi e la manovra di rientro nei parametri secondo la Ue ancora più pesante. Secondo gli esperti un aumento di 100 punti dello spread - ora siamo a quasi 200 rispetto a inizio anno - se prolungato su un anno o due (il Def arriva fino al 2020) grava sulla spesa per interessi di circa 1,8 mld, destinati a raddoppiarsi e a crescere geometricamente negli anni successivi. Ma, attenzione, stiamo parlando di un incremento stabile di 100 punti: e si sale di 200 o più. Lo scorso anno la spesa per interessi è stata attorno ai 63,5 mld. I conti sono facili e lo stesso premier incaricato ora, Carlo Cottarelli, trasferendo i dati sul carico per famiglie e imprese, parla di incrementi nella stessa misura. Senza contare i riflessi sulle banche, quelle italiane hanno ora il 27,25% del debito pubblico contro il 30,18 precedente: anche qui un'ascesa strutturale di 100 punti si traduce in 3,48 mld di spesa maggiore. E non contiamo il costo di capitalizzazione bruciata in questi giorni di Borsa in rosso, circa 12 mld in due-tre giorni, 51 dal 15 di maggio quando cominciarono le difficoltà per la formazione del nuovo governo.
Una situazione senza uscita anche in vista dalla prossima fine del QE grazie al quale la nostra spesa per interessi è scesa da oltre 90 ai 63,5 mld attuali. E poco potrà fare Cottarelli, senza fiducia e truppe, ma soprattutto con la prospettiva di una vittoria ancora più forte dei fascio-populisti capaci di spingere fino alla rottura dell'euro, magari con proposte semi balzane come quelle dei miniBot o dei certificati di credito fiscali e alla frattura/espulsione con e dall'Europa. Per il Vecchio Continente questa potrebbe essere la prova più dura, forse quella fatale, quella attesa da strateghi sinistri come Steve Bannon o auspicata dalle destre oltranziste xenofobe e totalitarie alla Marine Le Pen. L'Italia è sempre stata negli ultimi anni il ventre molle, ora c'è chi può affondare il coltello dopo che è sostanzialmente andata male in Francia, in Germania e perfino del post Brexit di Londra.
La Repubblica si rammarica che non ci sia un Macron alle viste. Ma senza idee alternative ancorate sempre a un'Europa diversa, più sociale, alternativa e globale e meno finanziaria, anche un Macron italiano non sarebbe la soluzione. Anzi.
Per quale motivo dovrebbe farlo chi non si è fermato un attimo sull’impoverimento, sulla tragedia del popolo greco, che su quel dramma ha trovato modo di guadagnarci ancora e far guadagnare quei Paesi senza debito e arricchitisi loro stessi con i problemi degli altri lo sproporzionato avanzo tedesco, per fare un esempio)? È vero che l’Italia è too big too fall , ma non siamo più al centro di una crisi sistemica come nel 2008 e negli anni successivi, gli altri quella recessione l’hanno alle spalle e la loro crescita è molto più altre sicura della nostra, incerta e parziale, con un debito pubblico che dai noi, pur con il decisivo sostegno all’economia dato dal QE di zio Draghi, invece di scendere è salito ancora. Ma i fascio-populisti dovrebbero sapere che da una bancarotta italiana sono in tanti a poterci guadagnare e non si faranno scrupoli. Anche perché le successive macerie sarà ancora meno costoso rilevarle, saranno disponibili a prezzi da saldo. E il conto lo pagheranno i deboli, gli indifesi del popolo affascinato dalle teorie da curva sud o nord. I ricchi e possidenti i loro conti li metteranno al sicuro e anzi si accoderanno ai prodotti migliori e definitivi della grande finanza, finendo così loro stessi per accentuare la caduta del loro Stato. Chi ha evaso ed evade, il libero professionista speculerà allo stesso modo. Gli altri, i meno garantiti, gli anziani, i giovani, le donne, i dipendenti pagheranno.
Come faranno i nostri a fermare questa grande finanza, marceranno su Moody’s o sulla Bundesbank? Occorre un sano esercizio di realismo. Ed ecco chi lo ricorda, naturalmente dalla sua posizione ed osservando la dinamica della crisi unita a quella spagnola con la probabile sfiducia al governo Rajoy.
Wall Street Journal
Intanto, giusto per avere un assaggio dell'attacco degli squali speculatori, oggi lo spread è salito fino a 320 punti e la Borsa continua a perdere il 2-3% al giorno. Ricatto? Vero, verissimo. Attacco all'Italia? Vero. Una riprova le dichiarazioni del commissario tedesco al Bilancio Oettinger secondo il quale “ i mercati insegneranno agli italiani a votare”. Ma nonostante le rassicurazioni di Bankitalia e industriali sui fondamentali delll'Italia che sono ottimi (a dire il vero, sosteneva la stessa cosa anche il ministro Padoan quando parlava di banche, ben conscio dei Npl che custodivano in pancia e di quanto maturava in Mps, per ora salvata ma grazia a una sorta di nazionalizzazione fatta ma non espressa - guai a parlarne in questi termini in tempo di liberismo sempre e ovunque -, o in Veneto banca o Popolare di Vicenza, per citare solo gli ultimi casi), in caso di spread a questi livelli prolungato nel tempo la spesa degli interessi per finanziare il debito è destinata ad accrescersi e la manovra di rientro nei parametri secondo la Ue ancora più pesante. Secondo gli esperti un aumento di 100 punti dello spread - ora siamo a quasi 200 rispetto a inizio anno - se prolungato su un anno o due (il Def arriva fino al 2020) grava sulla spesa per interessi di circa 1,8 mld, destinati a raddoppiarsi e a crescere geometricamente negli anni successivi. Ma, attenzione, stiamo parlando di un incremento stabile di 100 punti: e si sale di 200 o più. Lo scorso anno la spesa per interessi è stata attorno ai 63,5 mld. I conti sono facili e lo stesso premier incaricato ora, Carlo Cottarelli, trasferendo i dati sul carico per famiglie e imprese, parla di incrementi nella stessa misura. Senza contare i riflessi sulle banche, quelle italiane hanno ora il 27,25% del debito pubblico contro il 30,18 precedente: anche qui un'ascesa strutturale di 100 punti si traduce in 3,48 mld di spesa maggiore. E non contiamo il costo di capitalizzazione bruciata in questi giorni di Borsa in rosso, circa 12 mld in due-tre giorni, 51 dal 15 di maggio quando cominciarono le difficoltà per la formazione del nuovo governo.
Una situazione senza uscita anche in vista dalla prossima fine del QE grazie al quale la nostra spesa per interessi è scesa da oltre 90 ai 63,5 mld attuali. E poco potrà fare Cottarelli, senza fiducia e truppe, ma soprattutto con la prospettiva di una vittoria ancora più forte dei fascio-populisti capaci di spingere fino alla rottura dell'euro, magari con proposte semi balzane come quelle dei miniBot o dei certificati di credito fiscali e alla frattura/espulsione con e dall'Europa. Per il Vecchio Continente questa potrebbe essere la prova più dura, forse quella fatale, quella attesa da strateghi sinistri come Steve Bannon o auspicata dalle destre oltranziste xenofobe e totalitarie alla Marine Le Pen. L'Italia è sempre stata negli ultimi anni il ventre molle, ora c'è chi può affondare il coltello dopo che è sostanzialmente andata male in Francia, in Germania e perfino del post Brexit di Londra.
La Repubblica si rammarica che non ci sia un Macron alle viste. Ma senza idee alternative ancorate sempre a un'Europa diversa, più sociale, alternativa e globale e meno finanziaria, anche un Macron italiano non sarebbe la soluzione. Anzi.
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