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Populismi Show

Esce Conte, entra Cottarelli. Escono le utopie nazional-pauperiste, entra il realismo cinico dell'eurocapitalismo a trazione alemanna e centro-nord europea. Esce l'Italia. Si congeda dal consesso continentale e si prepara forse al declino decisivo e incolmabile in tempi in cui la politica si misura anche in nanosecondi.
La governance del Vecchio Continente e della sua organizzazione oramai paralitica e ansimante quantunque potente e infida passerà definitivamente a giugno nelle mani di Berlino e Parigi, ognuno con la sua corte di piccoli Paesi e senza più l'ingombro petulante della Gran Bretagna, da sempre gelosa del suo passato di ex potenza autonoma ma pretenziosa nel controllare le leve del potere Ue. L'Italia dovrà inviare un ambasciatore costretto suo malgrado ad assistere alle devoluzione del sud Europa e alla sua emarginazione in tutti gli organismi che contano, in attesa che nel 2019 cada anche l'ultimo tassello di Draghi alla Bce.
In compenso la rabbia italiota correrà alle sue urne convinta di poter pesare negli equilibri globali quando neppure nel calcio è riuscita ad assicurarsi una presenza mondiale. Si voterà illudendosi di non vedere più facce scure nelle strade, ma ne constateremo il prezzo quando quelle stesse facce spariranno dalla vista delle nonne da accudire, dei campi da coltivare, delle lavorazioni più abbiette e pericolose. Si voterà illudendosi di poter sparare a chiunque entri nel nostro giardino, inorridendo solo quando - troppi tardi - scopriremo che si tratta del vicino che inseguiva il gatto o di un  bambino che voleva recuperare il suo pallone. Si voterà illudendosi - compresi molti strati acculturati - che si potrà pagare solo il 15% di tasse, mantenendo esenzioni, detrazioni, bonus e superbonus, che tassare la casa sia un crimine, avendo il servizio sanitario garantito, le strade asfaltate, gli spettacoli gratuiti, l'istruzione per tutti, l'Iva massima al 22%, le fatture fantasma, l'evasione generalizzata, i tassi vicini allo zero e tutto gli sprechi immaginabili. E si voterà sperando in un reddito garantito per tutti, magari anche per il super ricco  che risulta nullatenente lasciando i percettori a nascere e morire nelle periferie quasi favelas. Si voterà illudendosi che il jobs act produca lavoro e lavori, che lo sciopero sia qualcosa di eversivo, che si possa vivere con meno diritti e più doveri, che non esistano conflitti d'interesse, che se sei benestante una condanna o il carcere siano un abuso, che invece se sei un povero cristo qualsiasi pena sia l'inevitabile prezzo della tua condizione. Si voterà con il proporzionale finto inventato dal centrosinistra per accordarsi con il centrodestra e, fosse andata male, mandare il Paese... a quel Paese salvando caste, approfittatori di ogni risma, redditi infiniti dalla patrimoniale perfino invocata dal Fmi, corrotti e corruttori di ogni latitudine, nanismi industriali, clan professionali.
Ora si scatena la guerra della destra nazional-grillina contro Mattarella, giusto appena un accenno di contrappeso, Mattarella che si è ricordato delle sue prerogative solo per non far torto alle euroburocrazie a trazione tedesca, e che le stesse prerogative ha rammentato per bocciare un vecchio ottantenne che alla sua veneranda età si è reso conto della trappola tesa alla Grecia e a Varoufakis scegliendo poi di consegnare la sua intelligenza al nullismo politico e alle politiche delle destra estrema, prerogative invece dimenticate nella disponibilità a consegnare le polizie ai fascismi insorgenti.
In tutto questo bailamme c'è un soggetto invocato a sproposito ma dimenticato: il popolo dei più deboli, di chi ha pagato la crisi sulla propria pelle, di chi è stato derubato del suo lavoro, dei diritti e della dignità, di chi ha ottenuto elemosine tradotte da bonus o welfare privati , di chi è costretto a vivere nelle paure indotte dalle disuguaglianze, le prime provocate da chi non vuole risolvere le seconde. 

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