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Referendum, chi non c'era non conta

I popoli imparano più da una sconfitta, che non i re dal trionfo, disse una volta Giuseppe Mazzini. Viene questo pensiero di fronte alla prima, nervosa e verbosa, vacua e tronfia dichiarazione - anomala, perché un governo su una consultazione diretta del popolo non dovrebbe metterci sopra la propria bandiera - del premier di fronte al risultato del referendum. Anzi non al risultato, al fatto che non si è raggiunto il quorum.
"Ha vinto l'Italia che produce, ha perso la vecchia politica, hanno perso quei consiglieri regionali che ce l'avevano com me, si sono sprecati 300 milioni che potevano essere spesi per treni, ambiente... " e via dicendo nello sfogo - non un discorso, non da politico, non da rappresentante delle istituzioni - con cui R. ha celebrato la sua non vittoria. Non vittoria infatti perché nessuno ha vinto: anzi hanno vinto i sì all'abolizione della parte di legge che consente il prolungamento delle concessioni alla trivelle entro le 12 miglia anche fino al prosciugamento dei pozzi. Hanno perso coloro che volevano mantenere questa legge. Ma la legge resta lo stesso perché andato a dire la sua il 32 per cento degli italiani, 14 milioni all'incirca. 
In Svizzera, terra dove il popolo si consulta spesso, spessissimo, probabilmente si ride: primo per il quorum, che oggi come oggi non ha alcun motivo perché dovrebbe decidere il popolo che decide di decidere e di dire la sua, e poi di fronte alla dichiarazioni su un "referendum inutile", in quanto lassù nessuno si azzarderebbe mai a dare un giudizio su una consultazione appoggiata dalle firme di tanta gente e suffragata dal voto di 14 milioni di cittadini.
Ma l'Italia è altra cosa, qui ogni volta che si va a votare si sfiora il dramma collettivo: Napolitano non indisse le elezioni dopo la caduta di Berlusconi perché nell'Italia dei tempi e delle modalità di voto barocche e arzigogolate perché "sarebbe stato un dramma votare in quelle condizioni". Ma quando mai chiedere ai cittadini di pronunciarsi su chi comanda o su chi mandare in parlamento o su una legge è una dramma? Forse lo si poteva dire nelle vecchie dittature sudamericane, ma in un Paese che vuole essere tra i primi al mondo nell'economia, che si vanta della sua civiltà giuridica e della sua democrazia, sembra un bel paradosso. Anche ridicolo, per giunta.
R. in tivù, però era nervoso. Troppo, rancoroso anche com'è lo stile del ragazzetto rimasto alla mentalità dell'oratorio, quando si era bambini: se vinco solo perché ho fatto il furbo e mi sono riparato dietro la tonaca del prete che ho chiamato perché gli altri non mi considerano, mi arrabbio lo stesso, lo faccio pesare e mi porto via il pallone. Proprio perché gli altri mi considerano ancora meno. 
Così con il pallone si accompagna la rabbia, "anche se il prete è dalla mia parte e mi ha fatto vincere. Perché adesso temo che tutti gli altri si mettano insieme contro di me e convincano il sacerdote che io sono solo un furbetto e per di più neppure tanto bravo". 
Ecco quel 32 e passa non sarà il 40% sognato e costruito in un solo mese con la tivù contro (con il suo silenzio), i giornali abbastanza, i partiti assenti e solo il web, piattaforma democratica abbastanza almeno, a sostenere le ragioni e le spiegazioni, ebbene quel 32% dà fastidio al ragazzetto premier, lo preoccupa. In un Paese dove ormai il 40% non va a votare senza che alcun premier o altro lo consigli, che più della metà dei restanti corra al seggio per decidere su un tema marginale (nello specifico, non sul tema generale), che investa direttamente solo una parte dell'Italia, e senza che vi siano altre votazioni in contemporanea, beh se non è un risultato positivo questo... Anche perché a ottobre, quando si tratterà di approvare la riformicchia costituzionale, abborracciata da semplice una laureata in giurisprudenza (e neppure tra le più brave) e non ci sarà quorum che tenga trovarsi a partire già con un 32% contro non è un bel viatico. E  chissà perché allora il ragazzetto del pallone dirà che astenersi non è da bravi cittadini (stabilisce lui i referendum che valgono e quelli no)!
Insomma quel 32% conta, eccome, oggi e ancora di più domani.

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