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P.O.R. (Pia Opera Renzi)



"Sbloccare le opere pubbliche e private è una priorità". "Se sbloccare un'opera è un reato io lo commetto". E avanti di questo tono. Il premier per cercare di far dimenticare il pasticcio Guidi e l'assonanza che si sta installando nella pubblica opinione "Governo Pd-affari" in poche ore è passato dal promettere 80 euro ai pensionati al minimo (salvo essere smentito dal suo consulente economico Taddei il quale ha detto che nel caso se ne parlerà l'anno prossimo), a garantire il completo risanamento di Bagnoli, a sostenere che lui prende solo 5 mila euro al mese e via dicendo senza dimenticare ovviamente che con lui l'Italia riparte e sta vivendo un nuovo periodo felice. Dimenticando, ma è un'inezia, che la disoccupazione è tornata a salire, che il tasso di disoccupazione a febbraio 2016 è pari all’11,7 per cento, aumentato di 0,1 punti percentuali rispetto a gennaio, che dopo la crescita registrata a gennaio (+0,3%, pari a +73 mila), a febbraio la stima degli occupati diminuisce dello 0,4 per cento.
Ma il punto è un altro: Renzi e il suo governo rivendicano la necessità di rimettere in moto opere bloccate da anni se non decenni. Giusto, principio sacrosanto. Ma come? Semplificando, suggerisce il premier, rimuovendo molti degli ostacoli burocratici. Bene, in linea di principio, il mostro della burocrazia è uno dei cancri che mangiano l'Italia dal di dentro.
Ma... ma occorre andare ancora una volta al di là della narrazione in senso fantastico e mirabolante del presidente del Consiglio, non lasciarsi avviluppare dallo storytelling che va di gran moda. Molte sono ferme per motivi contingenti, permessi e centinaia, migliaia di certificazioni ripetitive e talvolta inutili. Ma altrettante sono ferme per altri motivi: i finanziamenti, ad esempio. Parziali, promessi, addirittura stanziati ma poi non esistenti nel flusso di cassa. Burocrati al lavoro anche qui, norme bizantine e anche incomprensibili chiamate in causa per frenare i finanziamenti. Ma anche operazioni di finanziamento audaci, se non impossibili, rispondenti spesso solo alla logica dell'annuncio politico. E soldi che non ci sono perchè... non bastano! Insufficienti perché rispetto al progetto originario i costi sono lievitati.
"Su 33 grandi opere oggetto di indagine nel triennio 2007-2010, il costo sostenuto dalle casse pubbliche era passato da 574 milioni di euro dell'assegnazione iniziale a 834 milioni di euro: si tratta di un onere aggiuntivo per i cittadini pari al 45% del valore iniziale di aggiudicazione"
sostiene Legambiente che insieme a Libera, Cgil, Cisl e Uil pochi giorni fa ha presentato proprio a Renzi il decalogo per liberare gli appalti da sprechi, mafie e corruzione (per vederlo cliccate qui ).
Secondo un calcolo della Cgia di Mestre le grandi opere che si realizzeranno nei prossimi anni anni costeranno, sulla base dell'incremento  del 40% registrato in media dalla Corte dei Conti e dovuto alla corruzione,  93,6 miliardi in più all'Italia, qualcosa come 6 punti di Pil. Non è difficile capire perché, secondo un'indagine del 2008 dell'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, un chilometro di autostrada costa in Italia il doppio della Spagna, e un chilometro di ferrovia il triplo di Francia e Spagna, dato quest'ultimo calcolato in un rapporto di qualche anno fa della stessa Rfi.
Opere ferme per mancanza di soldi, dunque, oltre che per gli intoppi dei frenatori legislativi. Opere ferme anche perché molti privati non ci credono, si accorgono di aver sbagliato l'investimento, perché il partner pubblico non è, come visto, efficiente. Così anche il miracolistico e decantato project financing spesso si rivela un affare solo per il privato e un costo (e che costo!) per il pubblico. Due esempi: la Brebemi e la Tangenziale esterna di Milano (ecco i costi palesi e nascosti).
Opere ferme anche e soprattutto perché violano norme ambientali e non solo. Il rapporto Ecomafie del 2015 di Legambiente dice che
"crescono anche i reati accertati nel settore del cemento, 5.750 (+ 4,3%), mentre la Campania si conferma regione con il più alto tasso di illegalità, seguita da Calabria, Puglia e Lazio. A questi dati vanno aggiunte le stime sull’abusivismo edilizio elaborate dall’Istituto di ricerca Cresme Consulting, che nel 2014 sarebbe quantificabile in circa 18mila nuove costruzioni fuori legge, circa il 16% del nuovo costruito, con un giro d’affari che supera abbondantemente il miliardo di euro"
Un esempio, fra i moltissimi, dove almeno non si riscontra la partecipazione di organizzazioni criminali, è quello dei piccole Mose di Como, il progetto delle paratie per bloccare l'esondazione del lago, un'opera che ha già più di dieci anni, ancora ferma, lontana dalla sua conclusione e il cui costo è passato dagli iniziali 15 milioni a oltre 31. Finora.  Opera che è finita a inizio 2016 sotto la lente dell'Anac di Cantone (vedere qui).
Dunque tornando al presidente del Consiglio, si capisce da quanto sostenuto che la volontà di sbloccare le opere non può prescindere da come sbloccarle, con quali provvedimenti, cosa sbloccare in un quadro di sviluppo omogeneo e compatibile in cui è centrale una programmazione, usando quali leggi e in che modo reprimere con durezza e inflessibilità i reati compiuti nella ideazione/progettazione/realizzazione di opere pubbliche, reati per lo più compiuti da "colletti bianchi" e personaggi con grandi disponibilità di denaro, con fitti e stretti rapporti con la politica. E quindi con maggiori possibilità di sfuggire alla giustizia.
Le opere pubbliche avrebbero bisogno di una giustizia veloce, pochi ed efficaci enti di autorizzazione/controllo, una normativa chiara, semplice, efficace sia nelle parti tecniche di riferimento che nella porzione repressiva. Quando parlava Renzi aveva ben presente che in Italia abbiamo tutt'altro? E che i suoi interventi in materia di appalti, conflitto d'interessi, reati finanziari, trasparenza e chiarezza finora sono andati nel senso contrario?

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