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Trump, l'uomo che vuole male agli americani



Alea iacta est, il dado è tratto. Anche Trump come l'altro repubblicano degli anni Duemila, George W Bush ha la sua guerra. Diversa, senza cannoni (per ora), ma dagli esiti probabilmente più pesanti per gli americani e per una serie di altri Paesi, direttamente o indirettamente per l'intero pianeta. Capaci di rigettare il mondo, perfino, in una nuova recessione. Con tutto quanto ne consegue.

Il presidente degli Stati Uniti ha firmato l'ordine esecutivo che introduce dazi pesanti sulle importazioni di acciaio e alluminio.

Cosa significa e cosa succede ora

Non c'è che dire: Trump le sue promesse elettorali le vuole rispettare. Tanto di cappello alla coerenza e al rispetto degli elettori. Anche se, prima della coerenza, occorrerebbe preoccuparsi degli effetti delle decisioni, in particolari di quelle più populiste e di rottura rispetto a una serie di equilibri economici che non riguardano solo il proprio paese ma il mondo intero. Magari anche conoscendo un po' di storia la quale ci racconta che alle guerre commerciali sono seguiti spesso i conflitti armati reali.

La Casa Bianca ignora i benefici delle frontiere aperte

Trump per spiegare la decisione - costata anche le dimissioni di un uomo scelto  dal presidente stesso come Gary Cohn come consigliere economico - ha parlato di una reazione a un meglio precisato "assalto al nostro Paese", facendo seguire la spiegazione della stretta nazionalista con l'invito, come conseguenza, "a portare le fabbriche in America".
Tuttavia da buon tycoon, seppure sempre alle prese con un indebitamento notevole, Trump sa che le soluzioni semplici, molto semplici e semplificate,... non sono soluzioni. E quindi  alla fine rivela qual è il vero motivo della sua decisione così traumatica: non è tanto la convinzione che in tal modo l'impresa Usa possa riaversi e che i dazi portino verso il Paese multinazionali di altri Stati attratte dal taglio delle tasse e dalla convenienza sul prezzo di alluminio e acciaio. No, semplicemente Trump vuole ripristinare i rapporti di stretta dipendenza dei Paesi vicini dall'America. Non è un caso infatti che, rispetto all'imposizione di dazi, lo stesso Trump si sia detto disponibile all'esenzione proprio per Canada e Messico. Come dire o cedete alla leadership Usa oppure verrete travolti e penalizzati. Basta essere amici, dice la Casa Bianca, per ottenere la "facilitazione", lo "sconto". Una dichiarazione tanto vacua che dalla Ue la risposta è stata all'altezza: "visto che siamo i migliori alleati, ci aspettiamo di contare anche noi sull'esenzione". Ma a sua volta la Casa Bianca ha reagito minacciando di alzare il livello e aumentare i dazi ad esempio, sulle importazioni di auto prodotte in Europa. Se ciò fosse saremmo di fronte a una vera e propria guerra commerciale dagli esiti imprevedibili, anche e soprattutto per l'America e la sua industria.

L'analisi dell'Ispi

Grafico Ispi


L'analisi e i dati del Tum Post

Visto che più passano i giorni e più si consolida, anche negli stessi Usa, il dubbio che la mossa di Trump alla fine finisca per penalizzare in particolare il mercato e l'industria di casa, si rafforza l'ipotesi che quella della casa Bianca non sia che una semplice tattica per costringere alleati e amici ad accordi e intese non solo commerciali - ad esempio aumentando l'impegno al finanziamento della Nato - naturalmente alle condizioni d'oltreoceano. In passato  da Nixon, Carter , Reagan e perfino Obama sono giunti inasprimenti fiscali alle importazioni, ma si è sempre trattato di provvedimenti limitati nell'oggetto come nel tempo. E secondo alcuni studi, aumentando il costo di materie prime necessarie alla industria Usa, hanno finito per provocare la perdita di 200 mila posti di lavoro.
Restano tuttavia molte incognite.

I mercati stanno a guardare, alcuni fondi stanno guardando ai mercati emergenti, asiatici e alla Ue per  scontare le ripercussioni sul mercato casalingo e approfittare di una caduta interna nei settori indicati da Trump e in quelli che vivono di acciaio e alluminio. Ad esempio, il comparto petrolifero è molto preoccupato dei provvedimenti di Trump in quanto per sviluppare la produzione interna (il fracking su tutto) ha un gran bisogno di acciaio e un dazio del 25% non aiuta di certo.

Il protezionismo, non è un dato sconosciuto, non piace alle Borse e all'economia in generale, a quella globalizzata ancora meno. Ma c'è anche chi conta sul fatto che gli sgravi fiscali a poco approvati annullano e riducono l'impatto dei dazi e quindi riafferma che il mercato Usa resta ancora il migliori, in questo periodo, su cui puntare. Fino a quando almeno la Fed non rialzerà i tassi, come annunciato seppure con cautela, e se le dinamiche dell'economia reale non cominceranno a far intravedere segnali di tempesta.

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