Hope Hickss |
Hope Hicks - mai nome fu tanto evocativo - , capo della comunicazione della Casa Bianca ha annunciato che ne andrà poche ore dopo aver testimoniato sul Russiagate davanti alla commissione intelligence della camera e dopo che settimane fa era stata ascoltata dal procuratore speciale Robert S. Mueller, ovviamente ancora sul Russiagate e in dettaglio su quanto potrebbe aver appreso nel suo ruolo a fianco di Trump alla casa Bianca e prima per tre anni nel suo staff ristretto. Al proposito, secondo quanto hanno riferito sia il New York Times che il Washington Post, la Hicks avrebbe raccontando aver mentito solo su questioni secondarie (le cosiddette "bugie bianche") ma non su questioni rilevanti. E dicendo questo avrebbe spiegato che comunque, anche con la sua uscita, la sua ammirazione e devozione per il presidente è immutata, così come Trump dal canto suo ha rivolto alla sua assistente parole di elogio e rimpianto per il lavoro che ha svolto e per i suggerimenti che gli ha dato anche in momenti difficili.
The Washington Post
Perché si è dimessa
Del resto, pur senza esperienza di politica, entrata nel team di Trump solo nel 2016 e da sei mesi alla casa Bianca, la Hicks si è contraddistinta per le sue capacità , soprattutto di guidare il presidente sui sentieri impervi della comunicazione politica e istituzionale che lui già devasta a colpi di tweet. Insomma quanto di buono è uscito fino ora dalla casa Bianca in termini di annunci e tendenze sarebbe per lo più merito della ex modella del Connecticut, il cui peso è cresciuto negli ultimi mesi grazie all'apprezzamento del presidente, del nuovo capo del personale John Kelly. Tutto questo induce i media e gli analisti a chiedersi il motivo di questa uscita repentina, seppur accompagnata da dichiarazioni di ammirazione per il "capo". Da qualche parte si accenna alla possibilità che, pur attraverso le "bugie bianche", la Hicks abbia collaborato con Mueller più di quanto non dica. Ma anche che non abbia più condiviso le uscite di Trump o che non abbia sopportato l'uscita di scena di Rob Porter, l'assistente di Trump finito nei guai per con la denuncia di maltrattamenti alle due ex moglie e difeso con qualche imbarazzo dalla Casa Bianca, a sua volta a conoscenza del caso mesi prima che esplodesse.
Tuttavia questa ennesima uscita dalla Casa Bianca - proprio nell 'ora in cui il presidente si è scagliato contro il procuratore generale degli Usa Jeff Sessions e in cui anche la poltrona di John Kelly traballa - l'elenco degli abbandoni comincia a diventare imbarazzante a poco più di un anno dal voto del novembre del 2016. Ecco un po' di nomi: Michael Flynn. Paul Manafort. Sean Spicer. Anthony Scaramucci. Steve Bannon. Sebastian Gorka. Omarosa Manigault-Newman senza contare gli addi qualche scalino più in basso, molti procuratori ed esperti legati alle amministrazioni dei singoli Stati. E senza dimenticare la rifiuto dell'Fbi di consegnare a Jared Kushner le autorizzazioni di sicurezza destinate a chi lavora con il presidente e le voci di affari dello stesso Kushner nonostante il divieto per chi è e lavora alla Casa Bianca. Un vuoto che cresce, aumenta, che non fa bene all'immagine già compromessa e alla capacità di guida di un presidente tanto anomalo quanto sorprendente. Chi sarà il prossimo?
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