Grande è la confusione sotto il cielo di Washington -Great is the confusion under the sky in Washington
"Grande è la confusione sotto il cielo" diceva una celebra massima di Mao Tse Tung, che però aggiungeva, con sottile strategica "La situazione è eccellente".
Oggi la prima parte della frase ben si attaglia a quanto avviene alla Casa Bianca, a seconda molto meno. O per nulla.
Comprenderlo non è difficile. La settimana scorsa Trump ha scacciato il segretario di Stato Rez Tillerson rimpiazzandolo con Mike Pompeo della Cia. Ma la giostra dei licenziamenti, del sei fuori "I're fired"" è tutt'altro che finita. Il Washington Post sostiene che siano le ultime ore di John Kelly, l'ex generale a quattro stelle dei marines portato a guidare lo staff della Casa Bianca dopo l'estromissione di Reince Priebus, e anche di H. R McMaster, consigliere per la Sicurezza nazionale che a sua volta aveva sostituito poco più di un anno fa Michael Flynn finito nei guai per i suoi contatti con l'ambasciatore russo e quindi finito nell'inchiesta Russiagate avviata dal procuratore speciale Robert Mueller.
Nelle ultime ore il segretario alla Giustizia Jeff Sessions - anche lui in predicato di essere giubilato - ha licenziato l'ex numero due dell'Fbi Andrew McCabe, 24 ore prima che questi potesse andare in pensione. E così gli estromessi, in gran parte nominati dal presidente e dalla sua amministrazione, sono finora 24 in poco più di un anno. Un record, considerato anche che il turnover del team finora è il doppio di quello attuato da Ronald Reagan e il triplo di quello di Obama. Tutto questo pur concedendo il fatto che nel primo anno il cambio è più accentuato in quanto i presidenti si accorgono dei limiti di alcuni designati, della loro incapacità di gestire situazioni e personale, o per questioni etiche. Ma Trump, nei primi 365 giorni (e anche dopo) ha comunque superato abbondantemente le performance dei suoi cinque predecessori. Il perché lo spiega questo studio della Brookings .
Guarda qui il grafico dei "licenziati" da Trump
La tendenza che sembra profilarsi è quella di un voler stringere le fila e affidarsi a uomini (e donne) più allineati alle idee del presidente piuttosto che andare a scegliere nei ranghi del personale politico più sperimentato ed esperto del Partito Repubblicano. Questo, se da un lato potrebbe ridurre le tensioni all'interno della Casa Bianca e dell'Amministrazione e rafforzare l'ala dei "falchi", dall'altro rischia di pagare sia l'eccessiva radicalità dei nuovi assunti e quindi l'incapacità di gestire i dossier più delicati, sia di lasciare ancora più spazio al presidente twittatore e aumentare la confusione che regna da un anno nell'Amministrazione.
Una situazione che potrebbe degenerare stante la volontà espressa negli ultimi giorni da Trump, di aumentare la pressione sul procuratore speciale Robert S. Mueller III per arrivare alla sua rimozione. Trump si sente confortato da una ricerca del Monmouth University sul fatto che più del 70% degli americani crede nell'esistenza di uno Stato profondo pronto a mettere in difficoltà e ad attaccare le istituzioni.
Oggi la prima parte della frase ben si attaglia a quanto avviene alla Casa Bianca, a seconda molto meno. O per nulla.
Comprenderlo non è difficile. La settimana scorsa Trump ha scacciato il segretario di Stato Rez Tillerson rimpiazzandolo con Mike Pompeo della Cia. Ma la giostra dei licenziamenti, del sei fuori "I're fired"" è tutt'altro che finita. Il Washington Post sostiene che siano le ultime ore di John Kelly, l'ex generale a quattro stelle dei marines portato a guidare lo staff della Casa Bianca dopo l'estromissione di Reince Priebus, e anche di H. R McMaster, consigliere per la Sicurezza nazionale che a sua volta aveva sostituito poco più di un anno fa Michael Flynn finito nei guai per i suoi contatti con l'ambasciatore russo e quindi finito nell'inchiesta Russiagate avviata dal procuratore speciale Robert Mueller.
Nelle ultime ore il segretario alla Giustizia Jeff Sessions - anche lui in predicato di essere giubilato - ha licenziato l'ex numero due dell'Fbi Andrew McCabe, 24 ore prima che questi potesse andare in pensione. E così gli estromessi, in gran parte nominati dal presidente e dalla sua amministrazione, sono finora 24 in poco più di un anno. Un record, considerato anche che il turnover del team finora è il doppio di quello attuato da Ronald Reagan e il triplo di quello di Obama. Tutto questo pur concedendo il fatto che nel primo anno il cambio è più accentuato in quanto i presidenti si accorgono dei limiti di alcuni designati, della loro incapacità di gestire situazioni e personale, o per questioni etiche. Ma Trump, nei primi 365 giorni (e anche dopo) ha comunque superato abbondantemente le performance dei suoi cinque predecessori. Il perché lo spiega questo studio della Brookings .
Guarda qui il grafico dei "licenziati" da Trump
La tendenza che sembra profilarsi è quella di un voler stringere le fila e affidarsi a uomini (e donne) più allineati alle idee del presidente piuttosto che andare a scegliere nei ranghi del personale politico più sperimentato ed esperto del Partito Repubblicano. Questo, se da un lato potrebbe ridurre le tensioni all'interno della Casa Bianca e dell'Amministrazione e rafforzare l'ala dei "falchi", dall'altro rischia di pagare sia l'eccessiva radicalità dei nuovi assunti e quindi l'incapacità di gestire i dossier più delicati, sia di lasciare ancora più spazio al presidente twittatore e aumentare la confusione che regna da un anno nell'Amministrazione.
Una situazione che potrebbe degenerare stante la volontà espressa negli ultimi giorni da Trump, di aumentare la pressione sul procuratore speciale Robert S. Mueller III per arrivare alla sua rimozione. Trump si sente confortato da una ricerca del Monmouth University sul fatto che più del 70% degli americani crede nell'esistenza di uno Stato profondo pronto a mettere in difficoltà e ad attaccare le istituzioni.
A rafforzare questa linea di condotta potrebbe contribuire - come dice il New York Times - anche l'assunzione nel team degli avvocati, di un ex procuratore speciale Joseph diGenova, sostenitore delle tesi complottiste.
Sull'altro versante c'è però il fallimento del precedente tentativo di delegittimare Mueller, l'estate scorsa. In quella occasione i funzionari riuscirono a convincere Trump a desistere in virtù dei problemi che sarebbero potuti insorgere anche nell'opinione pubblica. E lo stesso partito Repubblicano non è d'accordo con la linea del presidente, anche se il dissenso è soprattutto a parole più che con atti effettivi. Anche perché non può essere Trump stesso a licenziare Mueller, che dipende infatti dal Dipartimento di Giustizia. Questo aspetto potrebbe essere una chiave di lettura delle tensioni con il procuratore Jeff Sessions, a sua volta in bilico nella bilancia squilibrata dell'inquilino della Casa Bianca.
Visto dal 1600 di Pennsylvania Avenue Mueller è senza dubbio un pericolo nell'ambito dell'inchiesta Russiagate. Il procuratore speciale sta individuando un ostacolo alla giustizia la rimozione, lo scorso anno del direttore dell'Fbi James Comey. Non solo, perché Mueller sta cercando di avere i documenti sugli affari privati di Trump, affari che spesso hanno incrociato uomini vicini, troppo vicini al Cremlino.
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