Nella martoriata Siria quindi si apre un nuovo, inedito, fronte e rivoluziona alleanze che sembravano consolidate sulla battaglia contro l'Isis. Ma soprattutto l'offensiva turca in terra che resta comunque siriana, seppure a stragrande maggioranza curda almeno fino all'esodo di 100-150 mila civili attraverso uno stretto corridoio controllato dalle milizie sciite fedeli ad Assad, mette una seria ipoteca, ancora, di nuovo, sulle ambizioni curde di avere una propria patria. Il tutto nell'indifferenza - interessata - della comunità internazionale che pure ha donato al sogno curdo non pochi giovani uomini e donne.
Del resto la Turchia non ha mai nascosto che una patria curda non è nelle cose o non vuole che sia neppure nel futuro dell'area. Per questo l'altro ieri Erdogan, dopo la presa di Afrin, ha ribadito che le ambizioni di Ankara sono ancora maggiori: sradicare ogni presenza curda dalle zone al confine con la Turchia, quindi le sue truppe sono pronte a marciare anche verso altre zone ad est dell'Eufrate, ad esempio Manbij - dove vi è una base americana - e anche Kobane, città-simbolo della riscossa curda verso l'Isis.
E non solo perché Erdogan minaccia d'intervenire anche nel Kurdistan iracheno, del resto già ridimensionato dallo stesso esercito iracheno che si è ripreso un'ampia zona attorno a Mosul, ricca soprattutto di pozzi petroliferi indispensabili tanto a Bagdad quanto alle finanze dell'auspicata nazione curda.
I curdi fino a ieri erano i veri vincitori della guerra all'Isis, il braccio armato decisivo sul terreno dove gli americani e i russi hanno preferito appoggiare la controffensiva dall'aria, con istruttori e supporti logistici, e rifornendo i loro alleati di armi moderne e efficienti. I curdi hanno soprattutto un asse con gli Usa - nel Rojava ci sono le basi americane - e i russi fino ad ora li avevano protetti. In quest'ultimo caso anche, all'inizio, in funzione anti turca.
Oggi però la situazione è cambiata. Ad Astana la Turchia ha riallacciato con Mosca, l'America nel frattempo ha cambiato il segretario di Stato Tillerson con Pompeo - un falco pro Trump e quindi meno disposto ad appoggiare una forma di governo democratica, assembleare, multietnica, socialista insomma, che si contrappone alla Turchia, ora totalitaria, ma comunque membro della Nato e quindi unico elemento nell'area in grado di consentire e appoggiare la presenza Usa.
Tuttavia la posizione Usa è molto confusa e contraddittoria al suo interno. E i russi, Afrin era nella loro zona di controllo, si sono ritirati da un paio di mesi dando il via libera, di fatto, all'operazione turca.I comandanti americani sono frustrati per la situazione che è venuta a crearsi e ricordano l'apporto dato alla lotta contro l'Isis, non senza dimenticare di rimarcare che, insieme ai ribelli siriani filo turchi, ad Afrin sarebbe ritornati elementi prima legati al Califfato verso i quali, due anni fa la Turchia è stata molto - troppo - tollerante, fino al punto da far sospettare un appoggio occulto al disegno di Daesh. Inoltre numerosi osservatori internazionali testimoniano della capacità di Sdf di controllare le zone sottoposte alla loro autorità , restituendo alle popolazioni libertà e autonomia e consentendo la rinascita. Cosa invece che non avviene con l'arrivo dei turchi visti comunque male anche dalle altre popolazioni arabe presenti, oltre che naturalmente dai curdi.
Il fallimento americano
Neppure l'Iran sciita si agita per sostenere - finora almeno - la causa curda, tra l'altro molto laica, portatrice di istanze di uguaglianza sociale fra uomo e donna. L'unico che ha qualche interesse, e infatti aveva inviato unità ad aiutare la resistenza dell'Ypg a Afrin e ha promesso di riprendersi la regione una volta finita l'offensiva a Ghouta, è stato Assad che però di deve muovere con equilibrio tra le diverse forze al fine di salvare il suo potere. Assad infatti teme un ritorno della volontà Usa di estrometterlo e conta sul sostegno russo, a sua volta interessato a consolidare la sua pozione nella Siria da dove se n'era andato dopo il tramonto dell'era sovietica.
"È evidente che l’operazione ad Afrin non avrebbe potuto essere avviata senza l’acquiescenza di Mosca, che di quell’area controlla lo spazio aereo. Tuttavia, il recente intervento di milizie legate al regime siriano a sostegno delle Ypg ad Afrin ricorda ad Ankara di giocare su un terreno molto scivoloso in cui schieramenti e “alleanze” sono quanto mai volatili e imprevedibili. In un eventuale faccia a faccia tra esercito turco e forze del regime siriano, in pochi scommetterebbero sul sostegno russo alla Turchia."
(Valeria Talbot, Co-Head, Mena Center, report per Ispi)
Cosa succede
In questo contesto da diverse fonti si dà per certo, forse già a primavera inoltrata una volta "liberata" l'area di Ghouta, un confronto tra Assad, determinato a riprendere il controllo delle frontiere e memore delle manovre di Erdogan contro il suo regime, e le truppe di Ankara. A quel punto il conflitto settennale in Siria assumerebbe una conformazione inedita e drammatica, ancora più drammatica. Se infatti in precedenza di era in presenza di una sorta di conflitto civile - prima i ribelli, con l'appoggio Usa, contro il regime, poi la lotta internazionale contro lo Stato islamico - lo scenario prossimo potrebbe essere quello di una guerra tra Stati. A fianco di Assad vi sarebbero infatti l'Iran con le milizie Hezbollah a lui vicine, e il sostegno russo. Oltre naturalmente ai curdi dell'Sdf. E in questo caso cosa farebbe l'America? Si schiererebbe con Erdogan rischiando di perdere le posizioni in Siria e quindi di sparire dall'area o non si opporrebbe alla cacciata turca tornando quindi al fianco del Rojava?
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