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Dimenticare Kobane


Usati e gettati via. In nome della Realpolitik. Come è avvenuto tante volte nella loro storia. Per il popolo curdo si apre un'altra prova difficile che devono affrontare da soli o al massimo con qualche timido appoggio , sempre di convenienza però.

Leggi qui Linkiesta



Ma il rischio, più che concreto, è che l'offensiva dei ramoscelli d'ulivo finisca per non avere né vinti né vincitori.

L'analisi del Crisi Group 

Una visita al fronte

Il problema però si complica giorno dopo giorno: i turchi hanno rallentato nell'enclave di Afrin, un po' per la pressione Usa, un po' per la resistenza incontrata. Le milizie curde dell'Ypg sono forti, ben addestrate, reduci da anni di guerra crudele con l'Issi e soprattutto ben armate con armi americane. La resistenza contro un'occupazione turca potrebbe essere durissima, in un territorio ostile verso Ankara e ben disposto per la guerriglia.


Tutti fattori che non fanno desistere Erdogan, sempre preoccupato di un saldarsi delle aree curde fra Nord Iraq, Siria settentrionale e le aree a maggioranza curda in Turchia, fino al punto di arrivare a delineare uno Stato autonomo, vero incubo per la Turchia. A dare la misura della volontà di Erdogan di chiudere i conti in quell'area con i curdi, lo testimoniano alcune scelte di Ankara che rischiano di annullare parte dei risultati ottenuti negli ultimi tre anni di guerra contro l'Isis in Siria. Non per niente le milizie Ypg denunciano sia il pericolo di un ritorno degli islamici "neri" e accusano Ankara di usare ex jihadisti ed elementi  di Al Nasr (ex Al Qaeda).

Leggi qui Il Sole 24 Ore

Globalist

D'altro lato però i curdi non sono affatto in posizione di forza. Pur essendo stati la spina dorsale della vittoriosa battaglia sul terreno contro l'Isis, sanno benissimo che senza una nazione dietro e senza veri amici-alleati gli interessi sull'area potrebbero avere la prevalenza sulla riconoscenza vista anche la disfatta del Califfato.

A impedire che l'offensiva turca si espandesse ulteriormente arrivando fino a minacciare un passaggio oltre l'Eufrate, più che la coriacea resistenza curda, è la presenza di una base americana  a Manbij: i soldati Usa non si sono schierati ma neppure si sono allontanati dall'area come hanno fatto i russi nella zona di Afrin, lasciando quindi mano libera ai turchi. A Manbij Ankara non vuole rischiare di  entrare in contatto con gli americani e questi ultimi, dal canto loro, sanno che una sconfitta curda nella zona significherebbe un riorganizzarsi dei miliziano del Califfato. Tuttavia la pressione di Erdogan sugli Stati Uniti, forte della appartenenza alla Nato e della vocazione al terrorismo del Pkk legato alle Ypg, potrebbero presto avere ragione dello stop imposto dagli americani. I quali, alla fin fine, non dovrebbero fare molto: semplicemente rinchiudersi nelle loro basi e girarsi dall'altra parte.
Questa vicinanza dei curdi agli Usa è malvista dalla Russia che vorrebbe un ritorno di Assad alla piena sovranità, senza interferenze indipendentiste e secessioniste. Ma anche l'altro attore sul terreno, l'Iran, non ha bisogno - almeno in apparenza e per ora - dei combattenti curdi. Affiancando e sostenendo l'esercito regolare, Teheran mira ad allargare la sua influenza su Damasco che all'Iran deve molto, primo il suo sostegno logistico offerto nel momento di massima potenza dell'Isis. Non bisogna dimenticare che nel settembre dello scorso anno Turchia, Russia e Iran firmarono un accordo per suddividersi la Siria ad Astana e in quella occasione i curdi non furono di certo invitati.

In questo contesto gli americani hanno bombardato pesantemente i ribelli alleati di Damasco e le stesse forze regolari per gli attacchi compiuti nell'area di Idlib usando armi letali sulla popolazione civile. e causando la fuga di almeno 300 mila civili, oltre a migliaia di morti.  Leggi qui. E anche qui .
Nel contempo gli israeliani colpiscono postazioni di Hezbollah nel Golan e truppe iraniane oltre  alle batterie missilistiche siriane, perdendo però un cacciabombardiere.
L'attacco è avvenuto dopo che un drone iraniano, secondo Israele, sarebbe stato inviato dagli iraniani in direzione di Israele. Era dall'82, dall'invasione del Libano, che Tel Aviv non perdeva un aereo.
Nella zona insomma la temperatura sta salendo drammaticamente e uno scontro diretto fra i diversi protagonisti è tutt'altro da escludere.

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