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La Cina è vicina



La Cina è vicina.  Lo è nello sport, nella moda, nei servizi, nella tecnologia, da Pechino si guarda all’Italia e al suo tessuto imprenditoriale fatto di creatività e  innovazione. Al punto che il nostro Paese è il secondo della Ue per investimenti cinesi: oggi sono 235 le aziende  che operano qui, impiegando 13 mila dipendenti e contribuendo al nostro pil con 5,5 miliardi di euro.



A raccontare di questa che non è un’avventura ma un preciso disegno strategico cinese, a tracciarne profilo, metodi e strumenti sono due giornaliste, Mariangela Pira, responsabile del Desk China di Class Editori, e Sabrina Carreras inviata di Presa Diretta di Rai 3 nel loro libro “Fozza Cina (Baldini e Castoldi, 178 pp. 16 euro).
Il titolo, tanto geniale quanto ironico, riprende il grido che il neo proprietario dell’Inter Zhang Jindong,  lanciò durante un’intervista: voleva dire “Forza Inter” in italiano e invece ne uscì una sorta di “Fozza Indaaaa”. L’acquisto della squadra di calcio di serie A non è una bizzarria e le due autrici partono da questo per cominciare a spiegare il metodo di penetrazione cinese in Italia. Che è un rischio ma anche un’opportunità: «L’esempio l’abbiamo nel calcio - spiega  Mariangela Pira - e lo vediamo proprio nello sport. Non hanno la genialità italiana, ma dispongono di tanti soldi. Lo stesso si può dire per le nostre piccole medie industrie: per loro è semplice acquisirle, ma non hanno la capacità di gestirle. Ecco, questo è il fattore rischio».


Inter a parte, è lunga la lista dei grandi marchi nazionali finiti ai cinesi. Pirelli e Benelli, esempi del made in Italy pur con destini e performance diverse, ma anche la De Tommaso, gli olii Sagra e Berio, la nautica del gruppo Ferretti, Krizia, Ferragamo, solo per citarne alcuni, tutte mosse che s’inquadrano nell’ottica di arrivare in un Paese avido di investimenti quanto in crisi di liquidità per acquisire una nuova immagine  e sbocchi commerciali. Così, se nel 2004 gli investimenti cinesi in Italia si fermarono a 50 milioni di dollari, dieci anni dopo la cifra è volata a 887 milioni in partecipazioni dirette e acquisizioni, oltre ad altri 3,7 miliardi di investimenti di portafoglio. Sempre seguendo il vecchio proverbio cinese “Costruisci il nido dell’aquila e l’aquila arriverà”. «Per le opportunità - prosegue Pira - serve una buona preparazione  come nel caso Pirelli con la garanzia dell “cervello” e del know how in Italia. Ma Pirelli, va detto, partiva con un brand fortissimo».
Lo shopping sa essere  sofisticato e strategico perché nel settore degli “ingressi” un posto di rilievo lo ha l’acquisto, nel 2004, del 35% di Cdp Reti - controllata dalla Cassa Depositi e Prestiti che ha in pancia la maggioranza di Terna e Snam -  da parte della società elettrica State Grid, di proprietà statale. Uno dei problemi che “Fozza Cina” si pone, è del perché alla fine Cdp Reti ha scelto un partner cinese? «La domanda - scrivono le due autrici - da farsi è: se sei obbligato a far cassa, quale partner alternativo avresti potuto avere? Fondi d’investimento, probabilmente. Dovendo quindi scegliere tra il mondo della finanza e un gruppo industriale controllato dallo Stato con forti capacità d’investimento come State Grid, Cdp avrà pensato che il socio industriale è sempre preferibile».


Del resto gli esempi in Pirelli e Benelli,  propendono per la visione industriale e la prospettiva globale. Quest’ultima, infatti, risulta centrale nel processo di avanzamento cinese in Italia, in Occidente, tanto da parlare di Piano Marshall in salsa cinese. «Nell’azione cinese - osserva ancora Pira - non c’è il risvolto politico e sociale che abbiamo avuto noi nel dopoguerra con il Piano Usa. Pechino nella sua dimensione economica si è resa conto di una mancanza di leadership nell’est del mondo e si muove in questo senso sostenendo operazioni nei diversi Paesi».

Forte della sua  liquidità,  la Cina dopo l’acquisizione di marchi famosi, punta alle piccole medie imprese, vera colonna vertebrale italiana (10-15 milioni di euro di fatturato), fonte di tecnologia e innovazioni avanzate, ma soprattutto ricca di ciò che interessa ora a a Pechino: le competenze. Ciò, appunto, che rientra nel piano China 2025, progetto che vuole portare la Cina nei prossimi sette anni a conquistare un posto di rilievo nell’internet delle cose e a produrre in casa (o attraverso il controllo) il 70% di quanto importa oggi. Se poi a China 2025 abbiniamo l’altro grande progetto, Belt and Road Initiative, ovvero, spiegano Pira e Carreras, «un’autostrada di infrastrutture moderne via mare e via terra, per unire l’Eurosia. L’obbiettivo, lungo la cosiddetta Nuova Via della Seta è lo scambio di servizi finanziari, tecnologie, informazioni e persone».
Ma siamo preparati in Italia a questo, cogliendo in chiave proattiva le occasioni per noi e premendo sulla reciprocità, tema su cui Pechino spesso è sorda? In un contesto di questo tipo non va dimenticata la dimensione di apertura dell’Italia al turismo cinese, ma anche un altro tipo di accoglienza sulla quale “Fozza Cina” mette l’accento: la curiosità e la passione dei giovani cinesi per il Bel Paese che si traduce in un incredibile aumento degli studenti iscritti nei nostri atenei passati da 383 del 2004-2005 ai 7 mila 375 di oggi con un’impennata del 264% delle richieste dal 2008. Il motivo è semplice: «Cultura, formazione e conoscenza - sostiene il professor Federico Masini dell’Istituto lingue orientali della Sapienza - sono i principali strumenti per acquisire potere».



E le famiglie affrontano sacrifici immensi per consentire gli studi ai figli, con la consapevolezza che i più preparati saranno la classe dirigente di domani. Non per niente l’80% di chi ha studiato all’estero, alla fine torna a casa, 409 mila dal ’78 al 2015 per la sola Italia. Veri e propri hau gui - tartarughe di mare - che come i mammiferi depositano le uova e poi tornano in acqua. E se per lo Stato cinese gli hau gui sono una forma di investimento all’estero, per l’Italia questa futura classe dirigente potrebbe essere una carta irripetibile da giocare nel futuro di un mondo ancora più globalizzato. (Umberto Montin)

Questo articolo è uscito il 12 febbraio 2018 nell'inserto Imprese & Lavoro de La Provincia di Como

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