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Lo sparatutto


Non vuole smentire se stesso, i suoi tweet compulsivi e rivelatori della personalità. Non ce la fa proprio Donald Trump ad apparire per ciò che non è, anche se tale caratteristica è lontana in questo caso dall'essere apprezzata in nome della trasparenza.
Davanti all'assemblea dell'Onu ha, come un eroe dei videogiochi "sparatutto" in prima persona, il presidente americano è sembrato uscire da un social capace di promettere una guerra totale e apocalittica
se solo la Corea del Nord attacca (chi, che cosa, dove, quanto, come?), pronto ad assicurare un pogrom senza precedenti. Esagerato, dunque, spaccone, come sempre, interprete di un social o di un format come il suo Apprentiste, ha lanciato avvertimenti a destra e a manca: dopo la Corea, è toccato ovviamente all'Iran, a Cuba, al Venezuela, in una sequenza di nemici da far invidia ai tempi della Guerra Fredda in un mix di terrorismo, dittature socialiste, democrazie riviste. Ma rispettando ancora il suo clichè di uomo non di partito, Trump ha messo i piedi nel piatto offertogli dall'ospitante attaccando le stesse Nazioni Unite per non riuscire ad applicare più le sue dottrine di pace (dimenticando che essendo l'Onu lo strumento delle politiche globali, se entra in crisi lo è perché a tal punto l'hanno trascinato e lo trascineranno ), per aver aumentato personale e , avere una burocrazia esplosiva. Risultato: pochi applausi, Macron che poco dopo lo contraddice in tutto e la forte convinzione che Trump non solo cerchi di apparire come un personaggio da social, ma che lo sia.
Il credo di Trump, la sua personalità alimentata dalla storia privata, hanno fatto di lui l'eroe da social che insulta tutti, minaccia sfracelli , vede un mondo che non c'è più arrivando perfino a ipotizzare perfino un olocausto quale neppure i videogiochi sono capaci di inventare. Se non altro per richiamare l'attenzione sul suo ego, probabilmente senza rendersi conto del peso e dell'immagine diplomatici che adesso l'America proietta.
Al di là del personaggio, però dietro le sparate di Trump comincia a intravedersi con sempre maggiore nettezza l'impostazione militare di questa presidenza allo sbando. Con la cacciata dei civili (Bannon prima di tutto, ma anche Scaramucci) dietro la svolta machista vi è il peso crescente dei generali : John Kelly, capo dello staff, il segretario alla Difesa James Mattis e il consigliere per la Sicurezza nazionale H. R. Mc MasterDa sempre diffidenti verso il potere politico, i militari sognano a ogni latitudine di poter decidere da soli sui temi politici. Con i risultati che la storia del secolo scorso ci ha mostrato. In questo caso però, al di là dell'influenza sui dossier aperti, i generali però sembrano avere una influenza mitigatrice sul presidente, trascinandolo lontano dalle provocazioni delle salse magniloquenti e logorroiche in stile  social.
Secondo altre letture però dietro e uscite "fuoco e furia" contro la Corea del Nord vi sarebbe la volontà di Trump di adottare la "teoria Madman", quella secondo cui un presidente come Nixon voleva essere sicuro che i sovietici non potessero prevedere le sue mosse  ele sue risposte, una comportamento "pazzo" che possa spiazzare - e quindi  spaventare - gli avversari. Con il problema che però un presidente in questo caso potrebbe essere visto come "pazzo" anche dal suo popolo e quindi  latore di risultati imprevedibili e destabilizzanti in una democrazia. Interessante al proposito è il sondaggio secondo cui il 61 per cento degli americani si sente a disagio di fronte alla possibilità che Trump possa gestire la crisi nordcoreana.

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