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Forum Ambrosetti, il forum ai tempi della speranza


C'è un gusto antico nel ritrovare l'appuntamento con il Forum Ambrosetti sulle rive del lago di Como a inizio settembre. IL sapore di ritrovarsi in un luogo dove non si chiacchiera, ma si discute con calma e riservatezza sui movimenti del mondo, sulle sfide globali e quelle continentali e nazionali, sui punti di crisi e su quelli di sviluppo delle economie, sulle tendenze e sui sentiment che percorrono i centri nevralgici del pianeta.

I detrattori parlano di "salotti dei poteri forti" o di conglomerati delle più segrete consorterie finanziarie senza confini. Certo, al Villa d'Este convergono uomini e donne che muovono miliardi, che spostano ricchezze, ma al tempo stesso le creano (o in qualche caso le disperdono). Ma soprattutto si ritrovano uomini e donne in grado di decifrare i parametri della globalizzazione, di tradurre le volontà delle monete e interpretare le vie su cui s'incammineranno produzioni industriali e progetti strategici. Uomini e donne che "sanno", che sono "dentro" questi trend, che sono in grado di spiegare e cercare di prevedere come questi fattori ricadranno gli equilibri geopolitici e come questi ultimi influenzeranno le mosse dei primi.
Quest'anno, per quanto possa sembrare paradossale, all'appuntamento con la 43esima edizione si arriva in un momento cruciale: la ripresa, attesa dal 2007, sembra aver imboccato il binario decisivo, l'ultimo Pil americano indica un progresso del 3%, la cifra che Trump vorrebbe stabile negli anni per garantirgli la copertura del suo ambizioso ( e per la gran parte degli economisti e analisti) irrealizzabile piano di taglio delle tasse in particolare per la classe medi. L'Eurozona cresce meno ma si avvicina al 2% che è molto incoraggiante, l'Italia gode del suo 1,3% possibile e superiore alle previsioni prudenti del governo. Molto dipende, appunto, dalle politiche di Trump, dall'allentamento delle normative su Wall Street che il tycoon ha promesso, dalla sua volontà o meno di portare l'America in territorio isolazionalista, dalla sua capacità o meno di riunire un Paese che nei suoi tweet vuole spaccato. Dipende dalle possibili "bolle" che sempre Wall Street potrebbe avere in incubazione con il segnato ritorno all'indebitamento record degli americani e ai dubbi che la vecchia industria estrattiva e manifatturiera possa averla vinta sulla new economy della Silicon Valley. Dipende dall'Afghanistan, ma ancora più dalla Corea del Nord, dalle risposte che un Trump confuso in politica estera sarà in grado di dare, in dipendenza o in indipendenza dai suoi generali. Dipende dall'Iran e dipende dalla Siria e un po' dall'Iraq in prima linea contro quanto resta del califfato. Dipende dalla Russia, dalla Libia come dall'Egitto e dall'Arabia fino all'Yemen. Dipende dalla Cina, dalle linee di sviluppo e concorrenza con gli Usa, dipende perfino dalla Brexit e dalla Ue. E dipende dalla Germania che il 24 settembre andrà alle urne, dall'asse Merkel-Macron, dalla Bce di Draghi, magari dipende un po' anche dall'Italia dove il populismo dei Cinque Stelle potrebbe essere l'ultimo a tentare l'assalto in Europa. Dipende dalla nuova finanza, dalle tecnologie che stanno scacciando l'uomo dai posti di lavoro, ma al tempo stesso ne condizionano molte attività e ipotecano perfino il suo tempo libero, dipende dalle riforme e quali, dalla fine del Qe di Draghi. Ecco il salotto di Cernobbio e le sue visioni sull'orlo della speranza.


Il programma di quest'anno e gli ospiti

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