Doveva essere il debutto internazionale del premier Conte e del suo esecutivo a due teste - quelle dei vice -, il rilancio dell'immagine italiana dopo l'offuscamento conseguente alle tensioni con la Ue. Doveva essere tutto questo e molto altro la conferenza di Palermo sulla Libia. Doveva essere e non lo è stata. Anche se il suo fallimento era intuibile e previsto, anche per l'assenza dell'ambasciatore Giuseppe Perrone fatto rientrare per sicurezza ad agosto.
Partiamo dalla fine: "In Libia non rivendichiamo nessuna leadership sul piano economico, politico o altro", non abbiamo "secondi fini" e non "crediamo in soluzioni dall'alto. Lavoriamo per la stabilizzazione del Paese e abbiamo reso un servizio anche all'Europa" ha detto il premier italiano con questa negazione confermando implicitamente che le aspettative, sue e della maggioranza, alla vigilia erano ben diverse. E visto che sono state ampiamente disattese, a Conte non è rimasto altro che far buon visto a cattivo gioco. In sostanza a Palermo non si è fatto alcun passo in avanti, l'inviato dell'Onu Ghassan Salamè ha confermato il piano per la transizione, approvato in Marocco nel 2015, un nuovo vertice fra le parti a inizio 2019 e l'indicazione di elezioni nella primavera. E null'altro, un nulla per di più condito perfino dall'assenza di una dichiarazione comune alla fine, segnale eloquente di una distanza per ora incolmabile fra i protagonisti - e sono molti - delle vicende libiche.
Se poi a tutto questo aggiungiamo che il controverso rais di Bengasi, il generale Khalifa Haftar
se ne è andato in anticipo sostenendo di non aver neppure partecipato appieno alla conferenza e che questo "sgarbo" - solo l'ultimo di una serie di mosse del generale per essere al centro dell'attenzione ma senza assumere impegni o essere costretto a qualsiasi seppur minima intesa - ha provocato lo strappo della Turchia, anch'essa partita in anticipo dopo aver appreso di non essere stata coinvolta in un incontro informale del mattino al quale ha partecipato anche Haftar.
Come spiega Repubblica
... "la verità è che per organizzare almeno un incontro allargato con il generale Haftar (e non soltanto dei bilaterali), la presidenza italiana ha accettato di escludere dalla riunione del mattino Turchia e Qatar, ovvero i due avversari dichiarati del generale. C’erano i capi di governo e di Stato “del Mediterraneo” (il presidente egiziano Sisi, il tunisino Essebsi, il premier russo Medvedev e altri) assieme ad Haftar e al presidente libico Fayez Serraj".Le premesse, oltre ai "capricci tattici" di Haftar (forte dell'appoggio russo e francese e della capacità di pressione, via migranti , che ha su Roma) non erano state buone: dopo le ripetute sfide dei mesi scorsi lanciate dal governo italiano a trazione sovranista, Francia e Germania non hanno ritenuto di partecipare al massimo livello ma di inviare solo i titolari degli Esteri (e questo in diplomazia ha un peso non indifferente) per la Francia (il cui presidente aveva già organizzato un vertice a Parigi a maggio, - senza Italia, Usa e Gran Bretagna, premendo per il voto il 10 dicembre, poi disatteso) e un sottosegretario addirittura per Berlino. In compenso non sono mancati, ma la notizia sarebbe stata se fossero risultati assenti, l’Alto rappresentante per la politica estera europea Federica Mogherini, il Presidente del Consiglio UE Donald Tusk oltre all l’inviato speciale dell’ONU per la Libia Ghassan Salamé, delegazioni di FMI, Banca Mondiale e Lega Araba insieme a Marocco, Turchia e Qatar e la presenza del presidente tunisino Beji Caid Essebsi, del premier algerino Ahmed Ouyahia e di quello egiziano Abdel Fattah al-Sisi.
Ma non hanno partecipato neppure i due attori mondiali più forti, Danald Trump e Vladimir Putin che pure erano a parigi un paio di giorni fa per i 100 anni della fine della prima guerra mondiale. La Russia, molto interessata a pesare nell'area anche per il possibile ritorno ad affacciarsi sul Mediterraneo, ha inviato il premier Dmitry Medvedev e il viceministro degli Esteri Mikhail Bogdanov. Ma la sorpresa viene da Washington, sui cui Roma contava molto non solo per il peso diplomatico, ma anche per i buoni rapporti con l'attuale inquilino della Casa Bianca. Trump invece ha voluto marcare la distanza dal caos libico - da cui si era tenuto distante anche Obama - non inviando l'annunciato Segretario di Stato Mike Pompeo, bensì solamente il consigliere speciale del Dipartimento di Stato per il Medio Oriente David Satterfield.
Il dossier: Le divisioni sulla Libia
Niente di nuovo, dunque da Palermo, e nulla di buono per la Libia con Haftar che ha voluto giocare solo la sua partita, rifiutando gli incontri con le altre fazioni e soprattutto con il Governo di Accordo Nazionale di Fayez Al Sarraj (la foto di una formale stretta di mano per accontentare Conte è solo una concessione alla forma) l'unico per ora, abbastanza riconosciuto a livello internazionale, ma molto debole sul piano interno. Solo a settembre per poco Al Serraj è riuscito a rimanere in sella di fronte all'offensiva di alcune milizie e si è salvato grazie agli accordi con altri gruppi, come le milizie di Misurata che oggi hanno piazzato un loro uomo nel governo stesso.
La mappa delle milizie ricostruita dall'Ispi |
Se vogliamo cercare un aspetto positivo a Palermo è una dichiarazione di Haftar (ancora lui al centro) il quale, sostenendo che "non si cambia cavallo mentre di guada il fiume" ha inteso garantire la sopravvivenza del GNA di Al Sarraj almeno fino al voto. Haftar che, per ora, ha spostato i suoi obbiettivi altrove, in particolare nella lotta ai terrorismo, all'Isis, ai Fratelli musulmani
"Abbiamo frontiere con la Tunisia, Algeria, Niger, Ciad, Sudan ed Egitto e la migrazione illegale viene da tutte le parti. I leader di questi Stati sicuramente hanno un punto di vista su questo tema e devono aiutarci almeno controllando le loro frontiere in maniera di non permettere l'immigrazione clandestina che ci crea il problema delle milizie, al-Qaeda, Daesh (Isis, ndr), movimento islamico e integralisti che entrano attraverso le nostre frontiere".Cosa resta dunque di Palermo? Poco, se non gli sforzi dell'inviato Onu Salamè il quale, secondo l'Ispi dovrebbe muoversi in tre direzioni:
..." politica, economica e sicurezza. Sul piano economico, l’inviato speciale ha posto l’accento sull’importanza e sul successo delle riforme economiche che sono state adottate a settembre per migliorare le condizioni di vita della popolazione libica, facendo fronte alla crisi di liquidità del paese e all’innalzamento dei prezzi di diversi beni di consumo, ma anche per sottrarre terreno alle milizie che prosperavano nell’economia sommersa. In prospettiva ci sarebbe anche l’ipotesi di riunificazione delle istituzioni finanziarie a cominciare dalla Banca centrale. Infine l’inviato ONU ha richiamato l’attenzione sulla necessità di dare un sostegno tangibile a un processo di disarmo e reintegrazione delle milizie armate e alla creazione di un esercito nazionale libico professionalizzato e unitario" (Ispi)
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