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La stampa, secondo i pop-sovranisti

Per capire quanta distanza c'è fra il sovranismo-populismo e la libertà democratica, è sufficiente osservare quanto avvenuto alla Casa Bianca due settimane fa, nel corso della conferenza stampa del presidente Donald Trump.
In quella occasione il reporter della Cnn Jim Acosta è intervenuto a ripetizione con una serie di domande dirette e "aggressive", domande ripetute in quanto Trump non rispondeva nel merito e si mostrava infastidito. Ad un tratto una stagista ha cercato di prendere il microfono del reporter che ha rifiutato di cederglielo pretendendo una risposta. La "risposta" è venuta più tardi quando al corrispondente della Cnn la Casa Bianca e lo staff del presidente hanno tolto il pass di accesso.
Il resto è abbastanza conosciuto, perché se in un primo tempo lo stesso staff - l'addetta stampa Sarah Sanders  e Bill Shine, vicecapo dello stesso staff della comunicazione - aveva diffuso il video dell'accaduto ritoccato in modo da fr ritenere che Acosta aveva messo le mani addosso alla stagista per difendere il microfono  (ma il trucco è stato subito smascherato), subito dopo è scattata la reazione dell'emittente che è ricorsa al giudice per ottenere la riammissione di Acosta sulla base del Primo Emendamento e la protezione nel processo garantita dal Quinto Emendamento. Cosa che il giudice - la curiosità è che il giudice della corte federale è stato nominato dallo stesso Trump - ha ordinato di fare immediatamente in attesa di un giudizio definitivo. Ma intanto la Casa Bianca avrebbe sospeso nuovamente l'accredito una volta che l'ordine restrittivo fosse scaduto, circa alla fine del mese.
ha cercato di limitare la sconfitta comunicando alla alla CNN che
La svolta arrivata nelle ultime ore segna la capitolazione degli uomini comunicazione di Trump in quanto l'accredito è stato ripristinato in via definitiva - e la Cnn ha rinunciato a portare avanti la causa- dopo un lungo scambio di lettere tra avvocati e la percezione che l'eventuale sviluppo della causa avrebbe costretto lo staff presidenziale, e quindi lo stesso Trump, a capitolare. Con  un effetto mediatico per nulla gradito al 1550 di Pennsylvania Avenue.
Tuttavia la Casa Bianca non ha voluto che la sua "resa" fosse interpretata come tale e anche non dare l'idea che Trump abbia ceduto all'odiata stampa. Infatti lo staff della comunicazione ha detto che verranno varate nuove regole per le conferenze stampa presidenziali nel corso delle quali ciascun corrispondente potrà porre una sola domanda e che potrà avanzarne un'altra solo se il presidente acconsentirà. Un modo per far sì che le domande scomode o "aggressive" - che pure fanno parte della consuetudine delle conferenze stampa e generalmente della stampa anglosassone (con una marcata differenza rispetto a quella italiana, a titolo di esempio), saranno limitate e magari negate sulla scorta di ciò che Trump definisce decoro degli stessi appuntamenti con i corrispondenti. E, logica conseguenza di queste nuove regole, è che chi non si atterrà potrà essere sanzionato con il ritiro del pass.
Cosa ci dice il caso Acosta? Che il nemico principale di sovranisti-populisti è la stampa libera, libera non delle sue opinioni - affermazione fin troppo ovvia e che riguarda oppositori ma anche sostenitori delle tesi dei governi - , ma libera di scavare, rivelare, raccontare cosa non va del potere, senza condizionamenti se non quello della verifica delle fonti, delle affermazioni, della realtà dei numeri e delle circostanze riferite. Non per niente lo strumento principale dei nemici di questa stampa sono le fake news, diffuse a piene mani e senza remore attraverso un uso distorto dei social i quali a loro volta, prigionieri del business -  il caso Facebook lo ha rivelato in questi giorni - non sono in grado (o non vogliono?) esercitare un controllo sulle bufale e sulle affermazioni distorte ad arte per orientare l'opinione pubblica. A ciò si aggiunge la delegittimazione dei media liberi, con una strategia accorta e precisa come quella adottata da Trump, ma condivisa ai quattro angoli del mondo, a cominciare da Putin per finire alle parodie italiane, avviate negli anni di Berlusconi con gli editti bulgare, proseguite con Renzi e le strategie per garantirsi l'appoggio degli editori, e ora arrivate alle liste di proscrizione di Di Battista e l'occupazione "militare"di Rai con annesso appoggio della stampa ex berlusconiana, della Lega.
Chi sarà il prossimo Acosta?

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