Perché la Grecia fa ancora paura agli investitori? Semplice perché potrebbe non farcela più a uscire dalla dinamica deficit-prestiti-risanamento- costi sociali.
E poi perché gli organismi internazionali
che stanno guidando il faticoso salvataggio sono divisi proprio sull'efficacia dello stesso. E c'è chi come il FMI dice esplicitamente che non servirà e minaccia di tirarsi fuori dal board che guida il piano di aiuti. Ecco perché c'è paura, molta. Bloomberg lo spiega bene qui
Il gioco dei prestiti
A luglio c'è la nuova scadenza, Atene deve versare altri sette mld di bond e il 20 febbraio i ministri dell'Eurogruppo devono decidere se sbloccare una nuova tranche di aiuti. però vogliono garanzie sulle riforme di austerità, che vuol dire nuovi interventi - tagli - sulle pensioni e aumenti delle tasse.
Una storia che va avanti dal 2010 quando la Grecia ottenne, tramite il meccanismo di salvaguardia Esm (il meccanismo di stabilità europeo), 330 mld di prestiti per evitare il default, pagando nel contempo con questi nuovi prestiti gli altri non rimborsati. Con il paradosso che la Grecia deve rimborsare con questi prestiti gli altri prestiti avuti dai medesimi creditori. In cambio ha dovuto accettare piani di austerità da lacrime e sangue, Una serie di riforme che valgono un terzo del Pil.
Ma quei 330 mld non sono stati erogati subito: arrivano in tre tranche sulla base deelle riforme e degli obbiettivi. Obiettivi fissati dalla Troika, ovvero sotto la direzione di Commissione Ue, Bce e Fmi . Ma su questi spesso le interpretazioni di Atene e dei tre commissari sono state diverse, molto diverse anche perché a giudizio di tutti gli analisti con questi piani mai la Grecia potrebbe uscire dal pantano.
Il ruolo dell'Fmi
E questo paradossalmente è anche un parere condiviso dall'Fmi secondo il quale bisogna passare attraverso un altro haircut, un'altra drammatica ristrutturazione del debito. Se non si andasse in questo senso l'Fmi minaccia di non prendere parte al nuovo piano di salvataggio. I tecnici della Lagarde prevedono per il 2060 un debito schizzato a un pazzesco 275%. Ma Germania e Olanda non cedono e chiedono la conferma degli impegni di austerità.
Il potere d'acquisto delle famiglie si è ridotto del 30%, le pensioni tagliate del 25% , i poveri aumentati in modo esponenziale, la disoccupazione è al 23% e al 44% per i giovani tra 15 e 24 anni mentre il debito pubblico è esploso al 176% del Pil
Paese in ginocchio
Il Pil è tornato a salire nel 2016 del 2,7% (e dovrebbe fare lo stesso quest'anno) ma il Paese è prostrato: il potere d'acquisto delle famiglie si è ridotto del 30%, le pensioni tagliate del 25% , i poveri aumentati in modo esponenziale, la disoccupazione è al 23% e al 44% per i giovani tra 15 e 24 anni mentre il debito pubblico è esploso al 176% del Pil. Per questo il premier Tsipras, che vede il suo consenso e quello del partito Syriza abbassarsi e il Paese percorso da proteste e violente manifestazioni, sostiene che la Grecia non potrebbe sostenere altre misure così draconiane.
Così la Grexit riprende forma e sarebbe un nuovo incubo per l'Europa (e per l'Italia in particolare) nell'annus horribilis del voto in Francia, Olanda e Germania e con il post Brexit e la nuova America trumpiana da affrontare.
Una possibilità quella dell'abbandono dell'euro da parte della Grecia che non è mai stata tolta sul serio dal tavolo. Lo spiega bene in questa intervista l'ex ministro delle Finanze Yanis Varoufakis.
La sentenza
A margine di questi aspetti della disfida fra Grecia e i suoi creditori, c'è un'importante sentenza (leggere qui) della Corte di giustizia europea sulla possibilità di un'autorità nazionale (il governo di Atene in questo caso) di opporsi ai licenziamenti collettivi di lavoratori senza per questo andare contro i trattati Ue e i principi della libera impresa. La Cgue ha dato ragione ad Atene proprio sulla legittimità sociale della tutela dei lavoratori. Ma anche questa sentenza s'inserisce nella battaglia anti austerità di Tsipras e nella rivendicazione di una diversa economia di mercato in cui i diritti delle imprese e della libera concorrenza non possono mettere in discussione i diritti sociali e sindacali.
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