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(Capo)Danno cinese



La guerra dei dazi fra America e Cina sta facendo male. Ad entrambi. Secondo una recente ricerca dell'Institute on International Finance, come spiega Axios, tuttavia uno degli obbiettivi di Donald Trump  - la riduzione del deficit commerciale che penalizza gli Usa - è stato in parte raggiunto.
Infatti il differenziale tra import ed export - 375 mld di dollari - è stato ridotto: il tasso delle merci importate dalla Cina si è ridotto. Ma, inevitabilmente anche le vendite dell'export americano si sono contratte. Il saldo, però, essendo in partenza a sfavore degli Usa, finisce per aiutare un po' il riequilibrio.
Il punto è però in quel un po'. Infatti secondo i più recenti rapporti se, da un lato lo squilibrio commerciale si è ridotto, dall'altro ciò non sta aiutando le imprese americane, un altro dei punti perseguiti da Trump quando ha lanciato la guerra dei dazi con Pechino. Le imprese Usa hanno speso il doppio dal maggio 2018 oltre a un 30 per cento in più fra agosto e ottobre, per un totale di 5,5 mld di dollari di dazi corrisposti alla Cina. Nel complesso ad essere coinvolti dagli aumenti per i consumatori americani sono circa 250 mld di esportazioni cinesi. 
 Inoltre sembra che stia per fallire un altro degli obbiettivi della Casa Bianca: far rientrare a casa  un numero consistente di aziende. Sebbene un terzo delle imprese Usa presenti sul  territorio cinese si fossero dette nel novembre scorso pronte a tornare, alla fine  solo il 6% lo ha fatto. Poco, troppo poco. A dire il vero però, il numero delle aziende che sta studiando lo spostamento è superiore, ma non scelgono la strada del rientro negli States, piuttosto preparano la ricollocazione in altri Paesi asiatici. Su questo versante, la guerra commerciale di Trump finisce per aiutare altre economie, quella indiana soprattutto, ma anche quelle cambogiane e brasiliane.Tutti questi Stati infatti stanno sostituendo i prodotti più costosi che prima facevano parte del pacchetto  fra Cina e Usa. Anche se, tuttavia, il trasferimento non è sempre agevole pur potendo contare su costi della manodopera più bassi anche di quelli cinesi. Per converso le infrastrutture non sono sempre a livello di quelle cinesi e questo può costituire un ostacolo allo spostamento.
Secondo Axios "le esportazioni dell'India verso la Cina da giugno-novembre 2018 sono aumentate del 32% e sono aumentate del 12% negli Stati Uniti. Il Brasile, il secondo produttore mondiale di soia, ha più che raddoppiato le sue spedizioni in Cina, il maggiore importatore mondiale di soia in ottobre, mentre la Cina ha importato solo 66.955 tonnellate di soia americana quel mese, rispetto a 1,33 milioni di tonnellate un anno prima".
Trump ha annunciato che un accordo deve essere trovato entro il primo marzo quando dovrebbero scattare gli aumenti per 200 mld di merci cinesi, i colloqui vanno a rilento ma in compenso per ora la guerra commerciale non è ancora deflagrata appieno. Il governo americano punta, oltre alla riduzione del deficit commerciale, a un cambiamento significativo del modello strutturale cinese (a partire ovviamente dal controllo statale sulle imprese ), mentre Pechino da questo orecchio non sente e cerca di limitare il campo alla disponibilità di incrementare l'importazione di soia e gas naturale liquido. Xi Jinping, pur di scongiurare la guerra che frenerebbe l'interscambio globale e soprattutto rallenterebbe ulteriormente la crescita cinese, ha annunciato che verranno riviste le leggi sull'importazione forzata di tecnologia e sulla tutela della proprietà intellettuale, due punti su cui Washington è molto sensibile (il caso Huawei è lì a dimostrarlo, anzi l'allarme sulla sicurezza legata alla presenza del gigante cinese nella prossima rivoluzionaria rete 5G si sta diffondendo in molti dei paesi coinvolti). Ma su questa revisione i dubbi sono notevoli fra gli esperti americani. Le trattative si annunciano serrate e tutt'altro che in discesa.

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