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Il principe nero affossa l'Arabia


Tanto volle salire in alto (e in fretta) che, come Icaro, si bruciò le ali. Il mito greco potrebbe attagliarsi alla perfezione a quanto sta accadendo al principe ereditario dell'Arabia Saudita
Mohammed bin Salman (MBS come è conosciuto in tutti i media del mondo) che potrebbe essere l'uomo che ha ordinato l'eliminazione - o comunque il rapimento poi culminato nella morte in seguito a un interrogatorio particolarmente duro - il giornalista dissidente Jamal Khashoggi, entrato il 2 ottobre scorso nel consolato dell'Arabia saudita a Istanbul per un certificato necessario alle nozze e mai più uscito, o piuttosto uscito ormai cadavere, forse a pezzi e fatto sparire.

La vicenda e le conseguenze politico-strategiche analizzate su



Ma oltre alla gestione della crisi globale e di immagine, le preoccupazioni del regno sono per l'economia. Infatti con il passaggio di quasi tutti i poteri a MBS, lo scorso anno, il re Salman aveva cercato la chiave di volta e di rinnovamento necessari affinché  il suo Paese uscisse dai retaggi di una società dai tratti medievali e soprattutto entrasse nelle dinamiche economiche di un mondo globalizzato e moderno, senza più restare esclusivamente fedeli alla declinante dipendenza dal petrolio. La discesa dei prezzi dello stesso negli ultimi anni ha costretto la monarchia a pesanti tagli  e a un ridimensionamento degli stili di vita soprattutto nella fetta di popolazione meno abbiente e distante dai cerchi magici - corrotti e parassitari in molti casi -  della corona. E tutto questo si è accompagnato a una preoccupante caduta degli investimenti stranieri, stoppati proprio dal conservatorismo e dalla chiusura della gerontocrazia saudita.


Ma ora questo processo di modernizzazione, affidato alle mani dell'ambizioso MBS, potrebbe naufragare con il precipitare della fiducia del mondo del business globale nei confronti di Riad.


Le conseguenze più immediate sono il ritiro dalla "Davos nel deserto", la conferenza degli investitori chiamati a raccolta da MBS per fine mese, di molti e importanti partecipanti. Si stanno ritirando i Ceo di molte fra le più importanti banche della Ue, numerose le corporate Usa da Wall Street a Silicon Valley che stanno disdettando, fitto l'elenco dei fondi, i businessman, come Richard Branson, che stanno rivedendo o cancellando i progetti di investimento in Arabia. In difficoltà perfino le società di lobbing saudita a Washington, i think tank finanziati da Riad, tutti coloro che hanno beneficiato lo scorso anno dei 27 mln di dollari spesi dall'Arabia per coltivare le relazioni con la politica americana. Ma le cose potrebbero peggiorare di ora in ora, anche se per ora Trump non sembra deciso a mettere in discussione il mega accordo per la fornitura di armi e servizi connessi da 110 mld di dollari e sottoscritto nella missione della scorsa primavera.
Il pericolo maggiore però viene proprio dall'Arabia Saudita se non finisse per trovare una spiegazione alla scomparsa di Khashoggi e non volesse ammettere le sue responsabilità cercando di ricucire il quadro diplomatico oggi in rovina. In prima battuta Riad aveva lanciato neppure tanto velate minacce a chi voleva coinvolgerla - in primis la Turchia - e soprattutto nei confronti di chi avanzava proposte di boicottaggi o sanzioni. Verso tutti questi editoriali ispirati da MBS avevano fatto capire che il governo poteva essere pronto a usare l'arma petrolio ("Nessuno dovrebbe escludere che il prezzo salti a $ 100, o $ 200, o addirittura raddoppiare quella cifra" - ora in risalita sulla base delle tensioni dopo che nelle scorse settimane era stato dato in ribasso conseguenza del raffreddamento delle richieste di materie prime e del generale rallentamento della crescita globale. Ma l'arma del petrolio si rivelerebbe spuntata come spiega Reuters, sia perché si scatenerebbe una tale crisi globale tale da fr crollare, dopo un'impennata iniziale, proprio i prezzi del greggio e sia perché l'economia mondiale ormai non è più dipendente dal petrolio mediorientale come negli anni Settanta (gli Usa sono quasi all'autosufficienza, Russia, Cina  e altre nazioni sono pronte a subentrare) anche perché in questi anni, e i programmi sono per un'incentivazione per il futuro, si è lavorato su modello sociali e produttivi alternativi, meno "oil oriented" e più green.

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