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Addio crisi, la grande illusione tutta italiana


Passata la grande paura. Una lettera a Bruxelles per spiegare l'inspiegabile e passa tutto. Anche la febbre da spread. Dopo il declassamento di Moody's, a Baa3, a un passo dal precipizio dalle "spazzatura"quanto buona parte degli investitori non potrebbe più tenere titoli italiani in portafoglio,
ebbene a poche ore dal giudizio dell'agenzia di rating (ora manca solo Standard & Poor's che si esprimerà il 26 ottobre), il governo Conte ha spiegato alla commissione Ue perché la manovra non si può toccare e neppure lo sfondamento del deficit a 2,4 dallo 0,9 previsto e dal possibile 1,6 di scostamento concesso.
Moody's in fondo non è stata troppo cattiva riservandosi un outlook stabile, ma i conti che non tornano in Italia a partire dal severo giudizio dell'Ufficio parlamentare di bilancio (Upb), non tornano neppure a Bruxelles. E i due giorni del premier per tentare di dare qualche giustificazione si sono conclusi con un poco brillante zero come risultato finale. Per cui anche la lettera non avrà altra accoglienza, se non altro anche perché nel frattempo gli altri governi hanno messo sull'avviso Palazzo Berlaymont (sede della Commissione Ue) a non cedere alle pretese di maggior debito italiano. In prima fila, da notare, tra i falchi l'Austria neosovranista e in teoria alleata di Salvini nell'asse europeo e sulla linea di "Austria First".
Mandata la lettera e scontato l'abbassamento dello spread già lunedì 22 (reazione prevista dopo Moody's in quanto i mercati avevano già scontato il giudizio negativo, il governo sembra voler tirare un sospiro di sollievo, soprattutto dopo aver trovato un precario riallineamento dopo le sbandate sul caso del condono.

"Come segnalano gli economisti di Commerzbank, i mercati già ieri davano per scontati due declassamenti: dunque il fatto che il downgrade sia stato uno solo con prospettive stabili potrebbe addirittura diventare un’occasione d’acquisto lunedì" (Sole 24 Ore).

Eppure a Roma farebbero bene a non essere tanto tranquilli, confortati anche dai toni meno accesi di Moscovici, evidentemente consigliato dai suoi a non alimentare il fuoco populista e dalla saggezza di Mario Draghi  che cerca una via d'uscita conscio delle nubi che si avvicinano. Come ha ricordato Francesco Daveri su lavoce.info , se c'era un anno in cui varare una manovra da 40 mld, 22 dei quali sopra  la soglia tollerata dalla Ue e in linea con i parametri precedenti, ebbene questo non era certo il 2019. Perché, ha ricordato Daveri bisogna fare i conti con la crescita americana e di conseguenza con la tendenza ad alzare i tassi, perché finisce il QE della Bce, perché le tensioni internazionali sono date in rialzo ( ora l'Arabia, poi le sanzioni all'Iran, si è appena aggiunto il ritiro dal trattato Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty (Inf) sui missili nucleari a medio raggio siglato nell'87 da Reagan e Gorbaciov, l'alto indebitamento di alcuni Paesi emergenti, il rallentamento della Cina etc etc).
Poi vanno aggiunte le incongruenze di una manovra che si vorrebbe anti-Ue e soprattutto anti austerità, quando in pratica finisce per privilegiare tagli lineari nei ministeri - e quindi in particolare sui servizi -  limita gli investimenti e si appropria di provvedimenti precedenti, con l'unico obbiettivo di raccogliere voti attraverso la simil-flat tax per le partite Iva - altro che taglio dell'Irpef o flat tax per i cittadini - o il reddito di cittadinanza o gli interventi sulla Fornero (alcuni dei quali costeranno ai "fortunati" che sceglieranno quota 100 addirittura il 20% dell'assegno pensionistico) . Una Nadef che non innova, non investe su istruzione/cultura, ricerca, welfare e sanità, riesce perfino a colpire le banche a freddo, con il differimento di deduzioni e svalutazioni crediti ai fini di Irap e Ireslasciando agli istituti la possibilità di rifarsi sui clienti, idem per le assicurazioni. Non pervenuta alcuna patrimoniale, nessun spazio alle finanze locali con la riduzione delle imposte e niente imposizioni sui detentori dei grandi capitali immobiliari, tanto per fare alcuni esempi.
La parziale via d'uscita del dialogo/trattativa che tutti vorrebbero intraprendere con Bruxelles con tutta probabilità si esaurirà in una sorta di controllo ferreo trimestrale dei conti per accertare gli eventuali scostamenti, un precedente pericolosissimo perché potrebbe essere come un'anticamera della Troika, con la Ue che terrà sotto stretta sorveglianza il via alle riforme del governo gialloverde. Ma intanto i mercati studieranno come mettersi al sicuro: da maggio sono quasi 81 i mld disinvestiti da soggetti esteri (ma il dato va maneggiato con attenzione perché vi sono anche alcune spiegazioni tecniche e non sempre equivale a un messaggio di paura o scarsa fiducia) e lo spread ricomincerà pian piano a salire, man mano che i conti o gli indicatori prospetteranno tensioni politico-finanziarie. E a proposito di spread non va dimenticato che ormai ci separano un centinaio di punto nel differenziale nostro e quello greco e che mentre la curva italiana s'impennava, in altre due economie mediterranee "sotto vigilanza" le cose andavano in altro senso (e meglio). Ecco il grafico qui sotto:

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