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Le guerre "daziali" di Trump


La Cina risponde e lo farà per far male. "Al fine di salvaguardare i nostri diritti e interessi legittimi e l'ordine globale di libero scambio, la Cina dovrà prendere delle contromisure. Ci rammarichiamo profondamente di questo." Parola del ministro
del commercio di Pechino dopo che Trump ha annunciato nuove tariffe - dal 10% in su di rincari - su 200 mld di importazioni dalla Cina.
La Cina però non starà ferma anche se spera in una ritirata o in un ammorbidimento di Trump prima del 24 settembre. Improbabile anche se a Pechino sanno che la strategia del presidente-tycoon è quella di estremizzare, drammatizzare, minacciare e usare il pugno di ferro per intimorire l'aversario e costringerlo a trattare. Una tecnica dal imprenditore con pochi scrupoli, ma gli affari di governo sono ben altra cosa. E Xi Jinping è pronyo a dimostrarlo anche per evidenziare al mondo che la Cina è pronta a sfidare l'America sullo stesso terreno, un modo per far risaltare il ruolo di superpotenza che  si confronta alla pari con gli Usa. Prorprio quello che Trump vorrebbe evitare accadesse o si mostrasse.
Non pochi economisti ed esperti sottolineano che il problema dello sbilancio nell'interscambio Usa- Cina è reale, ma altrettanto sottolineano che la risposta dell'amministrazione americana è la più  sbagliata. Anche perché  alla fine potrebbero essere gli americani a rimetterci di più.
"La Cina ha acquistato circa 130 miliardi di dollari in beni americani lo scorso anno - meno di un terzo di quello che gli Stati Uniti hanno ordinato alle imprese cinesi. Ora Pechino è pronta a imporre tasse di confine più alte su un totale di $ 110 miliardi di prodotti statunitensi." (Washington Post)
Trump insiste nel voler applicare altri dazi perché, sostiene, la Cina avrebbe affermato di voler influenzare le politiche Usa attraverso una qualche forma di pressione sul voto, a partire da quello del Midterm. Un'affermazione senza alcun riscontro. E nulla ad oggi autorizza a credere che Pechino sia in grado o voglia condizionare il voto. E la stesse cosa non si può dire della Russia anche per il voto presidenziale del 2016 visto quanto sta rivelando l'inchiesta del Russiagate. Certo è che le contromisure cinesi si annunciano ben calibrate come quelle di luglio che hanno colpito la soia e l'allevamento dei maiali tra gli altri beni (ecco il grafico del Washington Post). Dal canto suo il governo americano in ogni caso ha deciso un pacchetto di 12 mld di dollari per sostenere gli agricoltori - base elettorale di Trump - colpiti dalla guerra dei dazi (e quindi "vittime" delle contromisure cinesi), ma questo intervento non è andato giù all'Omc, l'organizzazione mondiale del commercio dove molti Paesi chiedono chiarezza su modi e tempi dell'intervento che rischia di avere pesanti ricadute sui commerci agricoli a livello globale.
Un altro esempio arriva dalla contrarietà delle aziende Usa che operano in Cina .
Del resto, questi malumori non sono che un esempio delle molteplici conseguenze della guerra commerciale scatenata dalla Casa Bianca, guerra che potrebbe perfino avere ricadute limitate  proprio per la Cina che muove anche la leva  monetaria per attenuare il contraccolpo. Attenuare ma non evitarlo anche perché l'economia cinese dà segni di rallentamento ( i consumi, ad esempio) e gli indici vanno tutti nella direzione di un raffreddamento del sistema.

Approfondimento

Se Trump paga dazio

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