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L'Ambrosetti e la burrasca



Avevamo annunciato burrasca in arrivo per l'Italia. Difficile che il termine si possa attagliare ai toni soffusi e ai broccati smorza-rumori della sale ovattate del Villa d'Este di Cernobbio dove ogni anno, a fine estate, si tiene il Forum Ambrosetti, anzi TEHAmbrosetti, punto di sintesi e d'avvio della stagione più calda delle politiche internazionali.

Eppure burrasca è stata. Non amplificata come si usa fare da queste parti, ma tradotta dai termini di estrema prudenza, dalla riservatezza, dai visi come dalle espressioni corrucciate, dalle piccole ansie  emergenti nelle domande e nei colloqui in giardino. Così per scoprire che l'aria che ha tirato nei tre giorni in riva al lago di Como rispetto all'Italia, è bastato uno degli esercizi classici del forum: il televoto tra la platea di imprenditori, finanzieri, economisti e banchieri che ogni hanno sganciano fior di quattrini per ascoltare le analisi più sofisticate (e attendibili) su dove andranno nei mesi successivi l'economia e la politica mondiali.
La platea nella sua maggioranza, 54,4%, ha espresso una fiducia bassa o molto bassa sulla situazione nazionale e sulle prospettive, percentuale che sale al 68% se si aggiunge un sufficiente, voto persino più striminzito della fiducia media.
L'ottimo Dario De Vico, sottile e attento osservatore del Forum, sul Corriere aveva sottolineato che, per la prima volta nella sua storia, l'élite dell'Ambrosetti in questa edizione - la 44esima - è risultata essere in minoranza, addirittura messa all'angolo. Vero, verissimo: da salotto dell'establishment italiano ed europeo, con solidi agganci oltreoceano nell'americanismo multilaterale, il Forum di Cernobbio ha vissuto momenti anche di forte contrapposizione con il potere politico, ma mai tali da arrivare a un rottura o da determinare una contrapposizione rispetto a modelli che potessero mettere in discussione la vocazione liberale della convention. Il paradosso che stavolta il Forum non avverte solo i sinistri scricchiolii rispetto, appunto, al modello filoatlantico e soprattutto europeista ma constata che una certa parte del mondo che vota, del popolo insomma, di quella parte che questi salotti li osserva distrattamente in tv, ora li ritiene superflui. Anzi quasi dannosi, quasi che parlare di liberi commerci fra gli Stati, di finanza globale fosse una bestemmia, un assunto che mette in discussione i caratteri e la cultura delle singole nazioni, quasi che liberalismo e globalizzazione fossero una riedizione aggiornata e corretta  dal temuto comunismo di stampo sovietico.
Non che le élite di Cernobbio siano esenti da colpe: a dieci anni da Lehman Brother i disastri della finanza senza controlli sono ancora ben visibili, in fondo l'impoverimento e l'allargarsi delle disuguaglianze sono proprio figli di quella Grande Crisi. E i sovranismi, i populismi, i fascismi che si fanno avanti sono i nipoti di quanto avvenne e di ciò che è stato fatto (o non fatto successivamente).
Però stavolta si sentono spiazzate, in minoranza, messe all'angolo come dice De Vico. Perfino incapaci, per il momento, di reagire, di trovare nuovi paradigmi per spiegare quanto accade, per leggere i fenomeni e rispondervi.
L'Europa vista quest'anno a Cernobbio è sembrata più che timida. Riluttante, perfino sfuggente ai fotografi, vogliosa di nascondersi, di non farsi notare. Due commissari, Carlos Moedas (Ricerca e istruzione) e Gunther Oettinger (Bilancio) più il vice presidente Timmermans, di rilevante solo una smentita per nulla convincente di Oettinger sulle dichiarazioni bellicose sui conti italiani. Una scelta, senza dubbio, di fronte agli istinti di killeraggio Ue che aleggiano nel governo, al voto svedese e alla terrificante prova del voto continentale di maggio 2019. Ma, certo, non una dimostrazione di coraggio, di volontà di difendere le proprie scelte.
Poi, come al solito, il tono dell'Ambrosetti, la location, la tradizione portano anche i più accaniti incendiari a trasformarsi in queste sale in accorti e moderati signori in grisaglia. Così Salvini ha fatto una retromarcia clamorosa sugli attacchi ai giudici (merito di Di Maio o piuttosto dello staff della comunicazione?) così come sui propositi bellicosi per chi in Europa non avvalla sforamenti dei conti di fronte alle riforme "epocali" e il ministro Tria ha in pratica ripreso toni e soprattutto contenuti di quanto vengono a dire ogni anno i titolari dell'Economia: controllo attento dei conti, riduzione del debito, nessun azzardo, le classiche concessioni alle aziende in perenne affanno nel Paese che non cresce, i buoni propositi di taglio delle tasse, migliore giustizia, sostegno ai più deboli che verranno attuati nell'arco della legislatura. Mai successo. Neppure quando i governi sono riusciti ad arrivare fin quasi in fondo.
Mercati e spread tranquillizzati però. Ma la platea di Cernobbio non ci casca, non si fida, sente puzza di bruciato e di tattica. Sa che è più debole. Per ora.

Il Forum e i tre giorni

Le preoccupazioni dell'Ambrosetti

Sul lago di Como tira aria di burrasca

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