Se è vero che la questione palestinese ormai da anni, di fronte all'intransigenza di Tel Aviv, è stata retrocessa in fondo alle agende delle cancellerie, nessun dimentica che il fattore palestinese resiste ed esiste, eccome. Resiste e prova a trovare una via d'uscita nella rottura dell'isolamento di Gaza con l'accordo fra Hamas e l'Anp, esiste come il popolo palestinese e gli arabi israeliani che articolati secondo numeri che doppiano nel complesso quelli degli ebrei, rappresentano un elemento di forzata convivenza all'interno dello Stato ebraico e nei Territori, a Gaza e in Cisgiordania senza dimenticare le masse immense ancora nei campi profughi negli stati vicini come il Libano. E come tali sono un elemento di perenne contrapposizione con Israele e con la sua occupazione militar-religiosa.
In un tale contesto piomba la scelta di Trump il quale, a parte l'esultanza del governo Netanyahu, riesce ad attirarsi le critiche non solo Europee ma dell'intero mondo arabo e dei suoi potenziali alleati in uno scacchiere sconvolto dopo le guerre americane in Iraq, da disastro siriano e dalle conseguenze delle Primavere in Egitto e soprattutto in Libia.
Nel mondo arabo si parla apertamente di "provocazione" verso tutti i musulmani del mondo e per farlo di re dell'Arabia Saudita Salman bin Abdul Aziz non ha esistato a chiamare Gerusalemme con il suo nome arabo.
In Riyadh, the Saudi Press Agency said that King Salman bin Abdul Aziz had received a call from Trump, as well, and that the two discussed the potential moves. Using the Arabic name for Jerusalem, the king “reiterated that such a dangerous step of relocation or recognition of Al-Quds as the capital of Israel would constitute a flagrant provocation of Muslims, all over the world,” the agency said. (The Washington Post)
E anche i più moderati come i giordani parlano di scelta che compromette il processo di pace. Processo di pace, va detto, che da anni ha imboccato un binario morto e che forse la nuova sovranità dell'Anp su Gaza - se effettivamente andrà in porto- poteva rilanciare con la messa sotto tutela dei gruppi più radicali e il ridimensionamento della stessa Hamas, ormai isolata.
Al di là della reazione, che potrebbe dare nuova linfa al tramontante Isis - c'è da chiedersi quanto fra i consiglieri di Trump, a cominciare dal genero ebreo Jared Kushner abbia dato il semaforo verde consapevolmente, con l'intento di accendere la miccia - di certo la mossa non può che far felice Teheran, la vera potenza regionale che potrebbe raccogliere i frutti della rabbia islamica in chiave anti-israeliana, e insieme della Russia verso la quale si potrebbero spostare popoli e regimi un tempo nell'orbita sovietica, non ultimi proprio i palestinesi da anni ormai di fatto dimenticati dalle capitali arabe. Un "regalo" questo di Trump a Teheran e Mosca che, in chiave Russiagate, potrebbe paradossalmente dimostrare in modo palese l' "aiuto" che l'America trumpizzata dà al vecchio avversario storico.
Approfondimenti
The Washington Post
The Washington Post
The New York Times
Politico
La Repubblica
Huffington Post
Bloomberg
La disputa su Gerusalemme. La guida di Bloomberg
Commenti
Posta un commento