L'annuncio del premer Gentiloni di spedire 470 uomini in Niger con il compito di consolidare il Paese, contrastare i trafficanti di uomini e il terrorismo, apre molte porte ognuna delle quali si affaccia su scenari incogniti più che su certezze.
L'analisi di Eastwest
Il Niger sta diventando centrale nelle politiche di molte cancellerie. Un Niger, paese tra i più poveri al mondo, in gran parte poco conosciuto nelle sue dinamiche più attuali, percorso da tensioni sociali e politiche e al centro delle strategie terroristiche di Al Qaeda e Boko Haran desiderose di stabilire delle teste di ponte in zone finora distanti dai radar delle diplomazie. I riflettori si sono accesi negli ultimi mesi dopo l'uccisione, in un'operazione ancora avvolta in parte nel mistero, di quattro commandos americani durante una ricognizione.
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In particolare le due formazioni islamiche hanno messo negli anni scorsi radici profonde in alcune zone di confine, come spiega il WashPo , laddove le condizioni di estrema povertà, del Sahara che si mangia terreni coltivabili, consegnano le popolazioni in mano al terrore degli jihadisti pur rispetto agli aiuti e alla collaborazione che offrono i circa 800 soldati americani nella zona. Dopo l'uccisione dei suoi quattro uomini dei corpi speciali, gli usa hanno disloacato - d'accordo con il governo - alcuni droni e dato il via a una nuova base ad Agadez oltre ai presidi di Zinder e Dirkou.
Soldati francesi in un fortino nel Niger |
Il Niger ha un'importanza strategica per le sue risorse naturali particolarmente ricercate e preziose: uranio soprattutto, ma anche carbone, ferro, petrolio e carbone sebbene il livello di sfruttamento sia ancora molto basso. L'uranio è uno dei motivi della presenza francese che deve difendere le zone del minerale indispensabile per il sistema energetico nazionale basato in gran parte sul nucleare.
L'Operazione Barkhane
L'Italia ora aderisce al progetto di intervento euro-africano e lo fa con l'intesa di Celle Saint Claud fornendo, insieme a Spagna e Germania, il suo contributo di soldati sul terreno. Macron quindi centra uno dei suoi obbiettivi per alleviare impegno e spesa. Un capitolo, quest'ultimo, tutt'altro che trascurabile perché l'operazione implica un fabbisogno di 423 milioni che ancora non ci sono fra contributi europei e dei Paesi del G5Sahel.
Il governo italiano in un primo tempo, la scorsa primavera aveva negato di volersi impegnare nel Niger. Poi la politica Minniti del contenimento dei flussi migratori direttamente in Libia, e quindi sul terreno africano, ha vinto le resistenze e si è aggiunta al calcolo diplomatico del peso italiano da giocare sullo scacchiere europeo in vista delle future intese (o guerre) sulle regole Ue del futuro. Presidiare al largo delle coste libiche ma senza avere, in modo ufficiale uomini sul terreno, non basta, come del resto non bastano le intese con i "sindaci" della Cirenaica ( o meglio con i boss della tratta dei migranti). Anche Minniti, sulla scorta dei report riservati dei Servizi, sa che si dovrebbe intervenire alla fonte, laddove partono gli uomini e le donne della fame e della disperazione. E per questo le rotte migratorie che partono o s'intrecciano in Niger sono centrali nella politica decisa dal governo italiano.
C'è però un particolare che non va dimenticato sottaciuto: a gestire i flussi di uomini sono spesso bande criminali legate o al servizio delle fazioni islamiste più radicali che dal traffico incassano i proventi per finanziare la guerra, il jihad. Il mettersi di traverso per stroncare questo mercato potrebbe fornire a questi clan la doppia motivazione per accendere la battaglia: salvaguardare i guadagni e motivare politicamente gli interventi contro i "crociati" rivendicando gli eventuali successi. Ma questo è un quadro che per gli italiani (come per i francesi, che lo hanno già sperimentato) si annuncia pericoloso e fosco. E il premier Gentiloni lo sa bene anche se questo aspetto è stato fatto passare sottotraccia per l'opinione pubblica.
I pericoli nell'analisi de Il Sole 24 Ore
Tratto da The Economist |
La priorità quindi per l'Italia è intercettare quella rotta che attraverso il Niger porta in Libia e quindi sulle nostre coste centinaia di migliaia di profughi. Secondo l'Onu solo lo scorso anno (2016) sono stati più di 330 mila coloro che hanno scelto, pagando migliaia di dollari, di tentare la fuga in Europa attraversando proprio le piste sabbiose del Niger tra privazioni e violenze inammaginabili.
Leggi: http://www.unhcr.org/news/latest/2017/8/598427614/deadly-trade-niger-snares-refugees-migrants.html
Il contingente italiano, con i primi 270 uomini che sono in partenza, sarà dislocato a Madama, al confine con la Libia, in un vecchio fortino degli anni 30 appartenuto alla Legione Straniera dove si trovano già circa 200 parà francesi e un centinaio di soldati nigerini.. Una parte degli uomini però sarà dall'altra parte del Paese, nella capitale Niamey dove si occuperà dell'addestramento del'aviazione nazionale e potrà appoggiarsi all'esistente base americana e di quelle francesi e tedesche. Il problema del presidio di Madama è che potrà essere rifornito solo per via aerea viste le distanze e le condizioni ambientali che sconsigliano i rifornimenti via terra. Ma anche portare l'intero contingente in Niger non sarà agevole: si sbarca sulla costa del Benin e attraverso la Nigeria si arriverà a destinazione dopo 2 mila 400 km. Si comprende quindi che dal punto di vista logistico sarà una missione complessa e complicata, difficile e costosa, senza contare che anche le condizioni climatiche - si arriva anche a 50 gradi, con la sabbia che blocca motori e meccanismi - renderanno difficile ed estremo il compito dei militari italiani chiamati a "sorvegliare" e intercettare i convogli dei neoschiavisti su una frontiera deserta e inospitale di oltre 600 km. Con risultati tutti da verificare.
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