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Grosso guaio (per Trump) in Alabama

Roy Moore
Un guaio grosso, un segnale preoccupante dopo un paio di settimane in cui Trump aveva incassato il via libera alla controversa riforma fiscale e il verdetto della Corte Suprema sulla legittimità del suo ultimo Muslim Ban.

Un guaio grosso che ha un nome e un cognome: Roy Moore. Un luogo: l'Alabama. Una conseguenza: la maggioranza al Senato.

Ecco cosa è successo

Partiamo proprio da quest'ultimo dato di fatto: con la sconfitta di Roy Moore da parte del democratico  Doug Jones la maggioranza repubblicana al Senato passa da 52 a 48 a 51 a 49. Ma tenendo conto che ben tre senatori John McCain, Bob Corker e Jeff Flake sono nemici acerrimi del presidente Trump e non hanno esitato a votare contro le sue proposte (il fisco e soprattutto la volontà di togliere di mezzo l'Obamacare) tanto che ha dovuto più volte far pesare il suo voto il vicepresidente Pence per riuscire a salvare i repubblicani da un disastro.

Il grafico sui numeri al Senato

Il luogo, l'Alabama, ha una sua importanza nella sconfitta: lo Stato è fra i più conservatori da decenni - va ricordato il segregazionismo ma anche la marcia di martin Luther King a Salma - e qui un democratico non vinceva di più di 25 anni. L'Alabama era una delle roccaforti non solo del Gop, ma anche di Trump che aveva vinto facilmente nel novembre del 2016. Però contro Moore hanno giocato gli scandali sessuali nei quali è coinvolto e la mobilitazione delle donne( anche bianche, almeno il 30 per cento), dei Millennials, della comunità afroamericana (30 per cento al voto, più ancora di quanto fece per Obama) e quindi tornata alla mobilitazione pre Hillary Clinton. Morre era anche il candidato dell'ex consigliere di Trump Steve Bannon e ciò ha dato modo al presidente di rivendicare la sua prima scelta, Luther Strange poi battuto da Moore alle primarie.
La sconfitta oltre agli effetti immediati sui numeri al Senato, ha accentuato la spaccatura per bande del Gop, fra amici e nemici del presidente. Questi è pronto a dare battaglia ancora, ma il suo indebolimento è palese soprattutto in vista del voto di Midterm (si rinnova un terzo del Senato che potrebbe quindi passare ai Democratici) del prossimo anno, visto ora con meno paura dai Democratici. Il rischio è che le riforme in agenda siano bloccate, s'impantanino al Senato, azzoppando di fatto Trump.
La sconfitta di Moore prova anche la profondità della ferita prodottasi nel Paese per le molestie sessuali. Mostra quanto, sulla scorta degli scandali Weinstein e successivi, possa pesare la reazione femminile (vedi #MeToo) , mai in tempi recenti così estesa e rabbiosa, quindi efficace. Un altro elemento che potrebbe pesare non poco il prossimo anno, naturalmente in chiave anti Trump. La destra oltranzista deve quindi riflettere sulle sue strategie di conquista attraverso  la testa di ponte presidenziale e tener conto che un'altra America profonda si sta risvegliando, anche se è l'America in vista, delle città, urbanizzata, multirazziale, delle libertà civili e di gender, dei Millennials come delle donne.

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