L'America della salute, capitolo 2. In un post precedente abbiamo avanzato l'ipotesi che il modello sociale verso cui punta questo governo di finto-centrosinistra sia molto simile e quello adottato oltre oceano.
Adesso alcune ipotesi sulla legge di stabilità rafforzano la convinzione e i campi d'intervento si allargano all'intero spettro dei servizi pubblici. Basta leggere un'anticipazione dal Sole 24 Ore di martedì 29 settembre:
In tal modo il governo potrà giustificare la riduzione delle prestazioni gratuite pubbliche, "tanto - sarebbe il ragionamento - avete l'assicurazione aziendale a provvedere". Ma basta dare un'occhiata al sistema Usa per capire che il costo delle polizze sarebbe consistente per arrivare a concorrere con il servizio sanitario nazionale. Il sistema in Svizzera costa caro e i premi sono in salita, ma comunque presuppongono salari più ricchi. Discorso analogo per la previdenza integrativa, i servizi alla persona, il sostegno all'istruzione e ai servizi creativi i quali , se l'ipotesi prendesse quota, finirebbero sempre più nell'ottica dei privati.
Cosa non va al di là del principio generale di uno Stato che dovrebbe provvedere, in cambio delle tasse, a provvedere ai suoi cittadini? Non va l'evidente disparità che si compirebbe tra aziende di dimensioni e capacità sindacale diverse, non va la stretta relazione stabilita tra bonus e incremento della produttività? Cosa accadrebbe se non si raggiungono gli obbiettivi ? E per i disoccupati? O per chi perde il lavoro e i precari?
Adesso alcune ipotesi sulla legge di stabilità rafforzano la convinzione e i campi d'intervento si allargano all'intero spettro dei servizi pubblici. Basta leggere un'anticipazione dal Sole 24 Ore di martedì 29 settembre:
L' idea allo studio dell' esecutivo è di incentivare il welfare "contrattato" (tra impresa e sindacato), e strettamente legato a incrementi di produttività. Oggi i tecnici del governo si incontreranno al ministero del Lavoro per approfondire la questione. L' obiettivo è «sostenere la contrattazione a livello decentrato», evidenzia Maurizio Del Conte, professore di diritto del Lavoro e consigliere giuridico del premier Renzi. Attualmente, i piani di welfare aziendale hanno essenzialmente carattere volontario per massimizzare i benefici previsti dalla normativa fiscale (se diventano obbligatori perché, per esempio, contenuti in un accordo collettivo si perdono molti dei vantaggi). Ci sono però alcuni beni e servizi che già ora possono essere erogati in favore dei dipendenti in forma incentivata, spiega il giuslavorista Giampiero Falasca, come i servizi per la famiglia, i servizi sanitari, forme di tutela previdenziale integrativa, sostegni per l' istruzione e servizi ricreativi. La novità, rispetto a questo quadro, è il tentativo di allargare il menù delle misure, legandole a doppio filo alla contrattazione in azienda, e premiandole con sconti in base all' aumento reale della produttività. Sul piatto, da quanto si apprende, ci sarebbero almeno 200 milioni (si rifinanzierebbe il fondo per la detassazione del salario di produttività, partito con una dote di 650 milioni, e finito a secco da quest' anno, ma superando l' istituto del premio di produttività). In questo modo, sottolinea Marco Leonardi, economista alla Statale di Milano, «il welfare aziendale potrà avere un ruolo crescente nella contrattazione di secondo livello».In sostanza se passasse questa impostazioni, verrebbero messe le basi per una massiccia privatizzazione della società, con modi, tempi, fondi e soggetti interessati scelti solo dalle aziende. E' chiaro che a un modello di benefit sociali accederanno soprattutto le aziende e i gruppi di maggiori dimensioni, magari in cambio di una sostanziosa decontribuzione. Il risultato sarebbe da subito sotto gli occhi di ciascuno di noi: il sistema delle previdenze, sanitario, dell'istruzione si vedrebbe di colpo decurtato da contributi non indifferenti. E le piccole aziende non potrebbero certo tenere il passo delle maggiori. Risultato: casse pubbliche ancora più in difficoltà, aziende minori chiamate a un maggior esborso in percentuale e magari, sovente, non in grado di assicurare un livello di welfare aziendale pari a quello delle imprese di maggiori dimensioni e non paragonabile a quello pubblico. Il quale, quest'ultimo, penalizzato dai contributi mancanti, avrebbe bisogno di maggiori risorse da reperire attraverso aumenti della contribuzione dei cittadini.
In tal modo il governo potrà giustificare la riduzione delle prestazioni gratuite pubbliche, "tanto - sarebbe il ragionamento - avete l'assicurazione aziendale a provvedere". Ma basta dare un'occhiata al sistema Usa per capire che il costo delle polizze sarebbe consistente per arrivare a concorrere con il servizio sanitario nazionale. Il sistema in Svizzera costa caro e i premi sono in salita, ma comunque presuppongono salari più ricchi. Discorso analogo per la previdenza integrativa, i servizi alla persona, il sostegno all'istruzione e ai servizi creativi i quali , se l'ipotesi prendesse quota, finirebbero sempre più nell'ottica dei privati.
Cosa non va al di là del principio generale di uno Stato che dovrebbe provvedere, in cambio delle tasse, a provvedere ai suoi cittadini? Non va l'evidente disparità che si compirebbe tra aziende di dimensioni e capacità sindacale diverse, non va la stretta relazione stabilita tra bonus e incremento della produttività? Cosa accadrebbe se non si raggiungono gli obbiettivi ? E per i disoccupati? O per chi perde il lavoro e i precari?
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