Alla fine, come previsto, sarà una partita di giro: forse, forse pagheremo qualche tassa di meno - la Tasi e in parte l'Imu - e un domani, forse forse, un po' di Irpef. Ma per raggiungere questo risultato il governo Renzi colpirà il cittadino nel suo bene più prezioso: la salute.
Saranno 208 gli esami su cui si inciderà per risparmiare ed evitare sprechi, imponendo ai medici di diventare arditi gabellieri indiretti, fare i conti della serva prima di riflettere sulla possibile malattia del paziente. Scatta naturalmente la corsa a ridimensionare: il ministro Lorenzin assicura che l'intento è nobile e le patologie verranno individuate e curate come sempre. Ma se non vi arriva subito la scienza medica, serve l'esame diagnostico. E se questo costa alla Stato e se lo Stato obietta perché in base alle sue tabelle non lo ritiene necessario? Pagheranno medico e paziente. Così il risparmio (forse) lo farà lo Stato ma non il cittadino. E le sue tasse non pagate se ne andranno o nella "multa" o nell'accertamento dai privati (per chi potrà permetterselo). Se poi il cittadino si ammala o perché il medico ha sbagliato o perché non ha potuto ordinare l'esame, lo Stato risparmiatore finirà per dover sopportare un costo enormemente maggiore per curare il povero cittadino ammalato. Sperando che lo salvi. Insomma tagliare ancora potrebbe essere un pericolo.
In un post precedente avevamo già detto questo, confortati da molte obiezioni e prima su tutte le considerazioni di Gino Strada. Oggi arriva l'elenco del ministro dove vi sono molti, troppi esami classici per non sospettare che il governo non miri a risparmiare solo senza badare troppo alla salute degli italiani, soprattutto dei meno abbienti, o fregandosene proprio. Date un'occhiata qui nell'elenco scovato da La Repubblica.
Tuttavia in questo bailamme emerge un'altra domanda: dove si vuole andare? E' fin troppo ovvio, anche al ministro Padoan che la sanità pubblica non potrà essere a lungo una sorta di bancomat pena il suo crack con tutti gli effetti sociali e anche politici che potrebbe significare. Maggiore efficenza d'accordo, meno sprechi è chiaro, ma ogni addetto sa che i grossi affari si combinano lontano dalle semplici analisi dei cittadini. Inoltre come si spiega bene qui, la divisione e l'incapacità delle regioni di ragionare di sanità lontano da lobby e consorterie e senza scadere nei localismi e nelle lotte tra potentati politico-medici, finisce con il dare una mano ad altri disegni. Quali?
Uno su tutti che chiarisce anche il possibile approdo delle strategie governative: un sistema misto pubblico-privato, equilibrato, non una semplice convivenza come oggi con prevalenza del Ssn, concentrato in particolare sulla medicina d'eccellenza che presuppone poli e strutture adeguati. Il disegno sarebbe quello di una rete di alta specializzazioni divisa equamente fra aziende ospedaliere tipo Irccs (Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico) - pubblici - e le Fondazioni Irccs, di fatto a carattere privatistico. Al di fuori di questo primo livello il sistema diventerebbe ancora duale: ovvero una serie di prestazioni di base o poco più (la revisione dei Lea - livelli essenziali di assistenza - con tutta probabilità sarà la prima pietra della "rivoluzione") garantite a norma di Costituzione dal Ssn e una seconda offerta, più "ricca", approfondita e specializzata, assicurata questa dalle assicurazioni pronte con pacchetti appositi a offrirsi ai cittadini e alle aziende che, a loro volta, li faranno entrare nella contrattazione e nei benefit (naturalmente per chi ha un lavoro). La spesa, ça va sans dire, si potrà portare in detrazione. Il modello americano, a questo punto, sarà servito, anche con i suoi costi reali ma soprattutto con i suoi "benefici" per i soggetti privati e i suoi risultati poco incoraggianti. Alla faccia del diritto alla salute, per tutti e soprattutto per i più deboli.
Saranno 208 gli esami su cui si inciderà per risparmiare ed evitare sprechi, imponendo ai medici di diventare arditi gabellieri indiretti, fare i conti della serva prima di riflettere sulla possibile malattia del paziente. Scatta naturalmente la corsa a ridimensionare: il ministro Lorenzin assicura che l'intento è nobile e le patologie verranno individuate e curate come sempre. Ma se non vi arriva subito la scienza medica, serve l'esame diagnostico. E se questo costa alla Stato e se lo Stato obietta perché in base alle sue tabelle non lo ritiene necessario? Pagheranno medico e paziente. Così il risparmio (forse) lo farà lo Stato ma non il cittadino. E le sue tasse non pagate se ne andranno o nella "multa" o nell'accertamento dai privati (per chi potrà permetterselo). Se poi il cittadino si ammala o perché il medico ha sbagliato o perché non ha potuto ordinare l'esame, lo Stato risparmiatore finirà per dover sopportare un costo enormemente maggiore per curare il povero cittadino ammalato. Sperando che lo salvi. Insomma tagliare ancora potrebbe essere un pericolo.
In un post precedente avevamo già detto questo, confortati da molte obiezioni e prima su tutte le considerazioni di Gino Strada. Oggi arriva l'elenco del ministro dove vi sono molti, troppi esami classici per non sospettare che il governo non miri a risparmiare solo senza badare troppo alla salute degli italiani, soprattutto dei meno abbienti, o fregandosene proprio. Date un'occhiata qui nell'elenco scovato da La Repubblica.
Tuttavia in questo bailamme emerge un'altra domanda: dove si vuole andare? E' fin troppo ovvio, anche al ministro Padoan che la sanità pubblica non potrà essere a lungo una sorta di bancomat pena il suo crack con tutti gli effetti sociali e anche politici che potrebbe significare. Maggiore efficenza d'accordo, meno sprechi è chiaro, ma ogni addetto sa che i grossi affari si combinano lontano dalle semplici analisi dei cittadini. Inoltre come si spiega bene qui, la divisione e l'incapacità delle regioni di ragionare di sanità lontano da lobby e consorterie e senza scadere nei localismi e nelle lotte tra potentati politico-medici, finisce con il dare una mano ad altri disegni. Quali?
Uno su tutti che chiarisce anche il possibile approdo delle strategie governative: un sistema misto pubblico-privato, equilibrato, non una semplice convivenza come oggi con prevalenza del Ssn, concentrato in particolare sulla medicina d'eccellenza che presuppone poli e strutture adeguati. Il disegno sarebbe quello di una rete di alta specializzazioni divisa equamente fra aziende ospedaliere tipo Irccs (Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico) - pubblici - e le Fondazioni Irccs, di fatto a carattere privatistico. Al di fuori di questo primo livello il sistema diventerebbe ancora duale: ovvero una serie di prestazioni di base o poco più (la revisione dei Lea - livelli essenziali di assistenza - con tutta probabilità sarà la prima pietra della "rivoluzione") garantite a norma di Costituzione dal Ssn e una seconda offerta, più "ricca", approfondita e specializzata, assicurata questa dalle assicurazioni pronte con pacchetti appositi a offrirsi ai cittadini e alle aziende che, a loro volta, li faranno entrare nella contrattazione e nei benefit (naturalmente per chi ha un lavoro). La spesa, ça va sans dire, si potrà portare in detrazione. Il modello americano, a questo punto, sarà servito, anche con i suoi costi reali ma soprattutto con i suoi "benefici" per i soggetti privati e i suoi risultati poco incoraggianti. Alla faccia del diritto alla salute, per tutti e soprattutto per i più deboli.
Ma quanto deve “costare” la #sanità? A mio avviso, l’unica risposta intelligente (e carica di giustizia) è: quanto serve, quanto serve per curare al meglio le persone che ne hanno bisogno. Tutte. IdeaImente, non un euro in più, né un euro in meno. I rapporti ufficiali, invece, ci dicono che circa 10 milioni di italiani non possono curarsi come dovrebbero, perché non se lo possono più permettere. La spesa sanitaria italiana è di poco superiore ai 100 miliardi di euro annui. Troppi? Pochi? Chissà. La “spesa sanitaria” è però il costo per lo Stato, o meglio per la collettività, del “sistema sanitario”, non è quanto viene speso per curare le persone. C’è molto di più in quei 100 miliardi l’anno. Certamente ci sono un uso poco razionale delle risorse e la dannosa “medicina difensiva” a dilapidare danaro pubblico. C’è però una cosa nella #sanità che costa più di tutto il resto e che viene ostinatamente censurata: il profitto. In tutte le sue forme, nelle strutture pubbliche come in quelle private “convenzionate”, che ormai da noi funzionano esattamente nello stesso modo. Aziende, non più Ospedali. Il profitto stimato nel settore della #sanità si aggira attorno ai 25 miliardi di euro annui. E se si iniziasse a “tagliare” da lì? Con i soldi risparmiati dando vita ad ospedali non-profit, cioè a strutture che abbiano come obiettivo le migliori cure possibili per tutti e non il pareggio di bilancio, si potrebbe ricostruire una vera #sanità pubblica, cioè un servizio totalmente gratuito, di alta qualità…e molto meno costoso. (Gino Strada)
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