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Trump e l'era glaciale: la post-verità

Di muro non ne parla (più), sul clima ape un po' l'uscio, rinfodera il revolver da giustiziere e preferisce mostrarsi giusto e lasciare Hillary Clinton al suo tramonto di lacrime e rabbia senza infierire sulle mail dimenticando di aver annunciato di volerla mandare in galera.
Non basta perché cerca di far pace anche con i grandi giornali liberal e va a farsi intervistare dal New York Times. Insomma Donald Trump a due settimana dalla vittoria inaspettata e improvvisa, sta diventando buono. deve unire gli americani, del resto, ha sottolineato.
Peccato che questo sia solo la superficie, giusto per mostrarsi aperto nel video con cui spiega i suoi primi cento giorni, secondo un modulo di comunicazione che aveva adottato già Berlusconi in Italia vent'anni e più fa: nessuna mediazione di giornalisti- e su questo ha già cominciato a cambiare le regole delle conferenze stampa - e dialogo diretto, si fa per dire, con il popolo. E' in trionfo della post-verità, ciò che non è vero, ma lo diventa in quanto espresso, diffuso.


Donald Trump non cambia, resta quello che era e del resto è stato votato per quello. Prendiamo le nomine, i primi tre nominati -il capo della Cia, il procuratore generale e il consigliere per la sicurezza nazionale - sono falchi della politica e dell'azione militare oltre che dei servizi segreti, con programmi e dichiarazioni passate quantomeno inquietanti. Ora ha nominato Nikki Haley ambasciatrice all'Onu e Betsy DeVos all'Istruzione: la prima era una sua avversaria da governatore della Carolina del Sud. Di origine indiana, sarà il volto gentile ma determinato dell'America nell'Onu che conta sempre meno e e con Trump sarà di fatto archiviato per essere preferito alla relazioni bilaterali che tanto piacciono ai neo trumpiani. La seconda è un avvocato, miliardaria, che conta soprattutto sulla scuola privata e per aiutarla ricorrerà, tra l'altro, al sistema Formigoni e Lombardia in Italia, ovvero au voucher per le famiglie che vogliono iscrivere i figli agli istituti parificati. Ovviamente con le differenze di rette e di sistema complessivo che caratterizza l'istruzione statunitense.

I due volti
Il Trump che già si vede non è diverso da quello della campagna elettorale e degli anni da magnate immobiliare, non per niente sembra volersi fare un baffo del conflitto d'interessi e far gestire le sue imprese alla famiglia, ovvero a se' stesso. Altro che blind trust! Ieri l'avrebbe pagata cara, all'America prostrata dalla crisi, disillusa e circonvenzionata con tutta probabilità riuscirà a far digerire anche questo.
Così come sul clima non andrà oltre qualche dichiarazione di principio dando il via a una nuova era (politicamente) glaciale: poi darà il via libera agli oleodotti, all'olio di scisti (shale oil) che lo stesso Obama tollerava e incentivava per garantire l'indipendenza energetica. Per cominciare ad accantonare le idee green basterà che tolga sussidi all'industria politicamente corretta dal punto di vista ambientale per ridurre le tasse (dal 35 al 15% secondo il programma) alle imprese e soprattutto togliere le legislazioni "verdi" che limitavano l'industria, da quella del petrolio, alla chimica, alla metallurgica. E chissenefrega se poi le emissioni aumenteranno, l'importante sarà di poter andare in giro e dire soprattutto alla tv o su Twitter che aumentano i posti di lavoro in fabbriche e miniere. I tumori e il peggioramento della salute della gente saranno un tema residuale, dei soliti liberal, non farà parte dello storytelling maggioritario e comunque riguarderà la sanità, privata è ovvio. Con le compagnie di assicurazioni e le aziende farmaceutiche che moltiplicheranno i guadagni sulla pelle dei cittadini. Quelli almeno che se le potranno permettere, le cure.
Naturale perciò, che in questo puzzle che si va formando, i mercati vedano gli interessi correre e per questo festeggiano. Ci sarà tempo per punire le politiche presidenziali, se e quando verranno i  tempi più difficili.

Il no global
Intanto il neopresidente procede concretamente sul versante dell'anti globalizzazione: è paradossale, ma Trump rischia di passare per il vero no global, come fa notare Rampini    . Già l'Europa è fredda e in parte ostile, se poi l'eventuale disponibilità del nuovo presidente fosse legata a migliori condizioni per le aziende Usa, il destino del trattato è segnato. E neppure il Nafta si sente tanto bene.
Addio al Tpp con l'Asia, il Ttip con l'Europa non vedrà la luce anche perché,
Trump vuol far rientrare società, fabbriche e soldi con gli stimoli fiscali (tassazione al 15%) e promette investimenti in infrastrutture, secondo un singolare mix di Reagan e Keynes.

I conti
Che fine farà il bilancio pubblico? Leggete l'opinione di un gestore di patrimoni in Usa che aveva previsto l'elezione di Trump, Jeffrey Gundlach fondatore di DoubleLine Capital, boutique obbligazionaria che gestisce miliardi di dollari di Aum, e gestore dal rating A del comparto Nordea 1 - Us Total Return Bond, registrato in Italia. Gundlach ha previsto un'inflazione al 3% entro sei mesi  e  un aumento del deficit che a sua volta comporterà un rialzo dei tassi d’interesse. Ecco cosa ha detto a San Diego
“Saremo nell’occhio del ciclone per i prossimi tre, quattro anni”
Sempre secondo il gestore il deficit potrebbe arrivare a quota 1,5 trilioni di dollari nel 2017 a causa del costo di Obamacare, Medicaid e la possibile realizzazione di infrastrutture.
Il problema per il nuovo corso Usa è far convivere protezionismo con la vocazione globale delle multinazionali Usa, affrontare il raffreddamento dell'economia già in arrivo con le promesse e la chiusura delle frontiere a un'immigrazione che ha fatto la fortuna dell'America. Trump vorrebbe risolvere questa visione con trattati bilaterali e accordi con i mercati scelti dagli Usa. Ma è una partita complicatissima in un mondo ormai senza frontiere, quelle elettroniche in particolare e quelle umane e mentali nel dettaglio. Senza dimenticare che, di fronte a queste politiche, la Cina cercherà di sostituirsi agli Stati Uniti nello sviluppare mercati contigui e interconnessi sempre più necessari alla sua crescita. E anche la Russia, nonostante l'amicizia con il nuovo corso americano, potrebbe dare questa svolta economica alla sua attuale strategia geopolitica.

E l'Europa?

Con i suoi populismi rischia di essere l'agnello sacrificale, anche perché le socialdemocrazie sono in coma (forse resisterà, di nome, solo in Italia) e i populismi di destra avanzano: si annuncia una Gran Bretagna sempre più legata e dipendente, dopo la Brexit, dagli Usa, la Francia potrebbe andate comunque a destra (l'ultraliberista Fillon o la Le Pen), l'Austria rischia di avere un presidente xenofobo, l'Europa dell'Est è già in buona parte delle oligarchie reazionarie, la Spagna va a destra (con l'appoggio socialista), la Germania replicherà la Merkel (comunque un conservatore) anche qui con i voti socialdemocratici. La sinistra vera forse resisterà solo in Portogallo e Grecia. L'era glaciale, anche dei diritti e della libera informazione, è già cominciata.

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