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La mazurka dei conti, delle tasse e dei fichi fioroni

Probabilmente, visto il carattere finto gioviale e pervicacemente permaloso, il premier Matteo Renzi (qui sopra quando era giovane e partecipava alla Ruota delle Fortuna con Mike Bongiorno, in pratica quello che sta facendo ancora), l'avrà presa male. Ma il fatto che economista giudicata a lui vicina e per di più moglie di un pezzo da novanta come Lorenzo Bini Smaghi, sveli quello che sanno tutti e tutti fanno finta di non sapere,
per il premier è un brutto sgambetto (almeno dal suo punto di vista, per qualsiasi altro è una doverosa operazione di trasparenza e un lodevole esercizio di onestà intellettuale da parte di una seria professionista): Veronica De Romanis non ha fatto altro che dire - con tanto di "pezze" giustificative ufficiali -  che in Italia la spending review non è mai partita, che i tagli non si fanno, che a risparmiare lo Stato non ci pensa. E poi tutti a stupirsi (a a far finta), compreso il povero ministro Padoan, che il debito pubblico ormai sia oltre i 2.300 miliardi.
Ecco cosa ha sottolineato la dottoressa De Romanis in una sua lettera a Il Foglio di sabato 19 marzo.
Al direttore - "I tagli alla spesa pubblica fatti fino a ora ammontano a 25 miliardi di euro. Abbiamo tagliato talmente tanto che è difficile andare oltre", ha dichiarato nei giorni scorsi Renzi.
Parlando prima alla Camera e poi al Senato, ha spiegato che l' unico modo per diminuire la pressione fiscale "dopo 25 miliardi di tagli" è di finanziare la riduzione delle tasse in disavanzo, ossia attraverso margini di finanza pubblica derivanti dall' attivazione da parte dell' Europa delle clausole di flessibilità: "Senza la flessibilità", secondo il premier, "non ci riuscirebbe neanche Mago Merlino". Effettivamente, 25 miliardi di tagli (circa un punto e mezzo di pil) non si erano mai visti nell' ultimo decennio: dal 2004 al 2014, le uscite pubbliche non hanno fatto altro che aumentare, passando da 678 miliardi di euro (46,8 per cento del pil) a 826 miliardi di euro (51,2 per cento del pil). Per l' anno in corso, tuttavia, l' Eurostat prevede una prosecuzione della tendenza in atto, con la spesa che dovrebbe attestarsi a 835 miliardi di euro.
Ma, allora, come deve essere interpretata la cifra dichiarata dal governo di "25 miliardi di tagli"? La risposta la si trova sul sito del ministero dell' Economia e delle Finanze (Mef) (http://www.mef.gov.it/inevidenza/article_0190.ht ml) in una breve nota dal titolo "Quanto pesa la Spending Review"? Il comunicato precisa che i risparmi per 25 miliardi di euro realizzati nel 2016 - grazie a iniziative intraprese tra il 2014 e il 2015 e alla legge di Stabilità 2016 - "hanno consentito di finanziare alcune delle misure a sostegno della crescita e dell' occupazione". I dettagli di queste misure non sono illustrati nella Nota, tuttavia una cosa è chiara: i tagli effettivi non possono essere 25 miliardi di euro dal momento che sono stati utilizzati per coprire incrementi di "altra" spesa pubblica. Per sapere a quanto ammontano i tagli "netti" per il 2016, anche in questo caso, bisogna andare sul sito del Mef, (http://www.rgs.mef.gov.it/VERSIONE-I/Pubblicazioni/Note-brevi/La-manovra-di-FP/2016-2018/).
Nella tabella a pagina 4 del documento redatto dalla Ragioneria generale dello stato ("La Manovra di Finanza Pubblica per il 2016-2018"), si evince che, per l' anno 2016, la cifra totale della "variazione netta delle spese" è pari a 360 milioni di euro, di cui 41 di spesa corrente e 319 di spesa in conto capitale. Da dove deriva, quindi, la differenza tra le cifre pubblicate e quelle dichiarate? Semplice, dalla differenza tra la parte di spesa pubblica realmente "tagliata" e quella semplicemente "riqualificata". In effetti, l' obiettivo della spending review non è solo quello di contenere la spesa (revisione quantitativa) ma anche quello di riallocarla verso impieghi più efficienti e più produttivi (revisione qualitativa). Quello che emerge dai dati è che il governo, più che tagliare la spesa pubblica, l' ha spostata da un capitolo a un altro: una linea destinata a proseguire con l' implementazione della riforma della pubblica amministrazione. Del resto, che questo sarebbe stato l' approccio seguìto lo aveva precisato lo stesso ministro della Funzione pubblica al momento della presentazione del ddl delega: "Non so quanti risparmi porterà la riforma della Pubblica Amministrazione e sono contenta di non saperlo perché l' impostazione non è di spending review: non siamo partiti dai risparmi".
Insomma, tagliare non sembra essere una priorità. "L' austerità non fa crescere" ha ribadito Renzi in diverse occasioni. Una affermazione che, però, non sembra essere supportata dai dati. I paesi che nell' ultimo quinquennio hanno tagliato la spesa pubblica come l' Inghilterra (dal 48,8 al 43 per cento), la Spagna (dal 46 al 43,3 per cento) o l' Irlanda (dal 47,2 al 35,9 per cento) crescono, rispettivamente, del 2,3 per cento, del 3,2 per cento e del 6,9 per cento. L' Italia, che nello stesso periodo ha incrementato la spesa pubblica dal 49,9 al 50,7 per cento, è ferma allo 0,8 per cento.
Veronica De Romanis 

Comunque il nostro premier non sembra volersene dare per inteso: difende Verdini, vera assicurazione sulla sua vita (politica), salva la Boschi (conflitti d'interesse di salsa berlusconiana completamente dimenticati), mostra i muscoli da ragazzetto dell'oratorio molto borioso e poco capace se non in furbizia e costringe i suoi a manifestare la stessa arroganza e prepotenza verso chi non la pensa allo stesso modo.
E continua a blaterare di ripresa, di Italia che ce la fa e intanto, pur di non tagliare (fa male al voto dire a qualcuno che deve rinunciare a parte dei profitti) rincorre la Ue per ottenere maggiore flessibilità sui conti, il che significa ancora la possibilità di fare maggiore debito pur continuando a godere dell'aiuto del Qe di Draghi, unica misura che finora ha tenuto a galla i conti italiani. Pur sapendo che in Europa, avranno applicato misure ultraliberiste che stanno lasciando sul terreno milioni di disperati, crisi infinita e soprattutto non ottengono gli effetti sperati, ma i conti li sanno leggere fin troppo bene. Come ha fatto la signora De Romanis.
Non contento il Nostro Fico Fiorone parla di tagli delle tasse quando, in 20 anni, la pressione fiscale è passata dal 40,3 al 43,3 e, eliminazione della Tasi a parte, paghiamo tutti (meglio dire,quelli che hanno sempre pagato) di più. Consentite un'autocitazione su La Provincia di Como sul gravame fiscale e una piccola ma esemplificativa ricerca che spiega perché gli italiani, "cattivi" non si decidono a consumare di più, magari in beni voluttuari. La ricerca è della Uil e attribuisce i demeriti non solo a Nostro ma anche a Letta visto che l'analisi va dal 2013 al 2015 e dimostra come in due anni si sono pagati 7 miliardi di tasse in più. Ma non è che la punta dell'iceberg: come si fa a spiegare (e per converso non recepire) che le bollette sono schizzate verso l'alto (ecco i prossimi ritocchi grazie alla "libera concorrenza") e la corruzione, che tanti buchi nei bilanci pubblici agevola, non demorde  perché non efficacemente combattuta?
La mazurka, insomma, non si ferma.

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